31 gennaio 2014

Prisoners

E' già Ieri -2013-

Tutto è partito da questo film, dai commenti entusiastici letti qua e là che andavano ad esaltare l'ennesimo ottimo lavoro di Denis Villeneuve.
Denis Villeneuve chi?
Esatto, proprio questa domanda mi ero posta mesi fa, e spinta dalla curiosità ma soprattutto dalla fama che questo regista si porta dietro mi sono vista dapprima quel piccolo gioiellino pieno di significato che è Polytechnique, poi il definito a merito capolavoro La donna che canta, uscendo dalla visione entrambe le volte scossa, affascinata e lieta di aver dato ascolto a quanto letto.
I sentimenti una volta finito Prisoners sono suppergiù gli stessi, anche se a soverchiare tutti è l'inquietudine palpabile che Villeneuve riesce ad immettere in ogni scena, in ogni personaggio e soprattutto nella soluzione finale e in quel finale sospeso.


A differenza dei due drammi precedenti, il regista si immerge a piene mani nel thriller d'autore, arrivando a questo script dopo che i nomi di Bryan Singer e Antoine Fuqua erano saltati.
Sicuramente diverso dal registro a cui mi aveva abituato, non per questo il film è di minor livello, visto che l'uso sapiente della macchina da presa, la fotografia cupa e noir e soprattutto l'atmosfera qui ricreata sono di un gran film, di quelli solidi e ben orchestrati.
La tranquilla vita di due famiglie di provincia è infatti sconvolta dall'improvviso rapimento delle loro due piccole figlie, scomparse nel nulla in un giorno di festa senza lasciare alcun tipo di indizio. Iniziano così le indagini del detective solitario Lockee da una parte, e quelle personali e vendicative del padre Keller Dover, pronto a tutto pur di conoscere la verità.
I primi sospetti ricadono subito sul mentalmente ritardato Alex Jones, per poi crescere, essere sminuiti e infine archiviati, almeno da parte della polizia. Le indagini dovranno infatti fare i conti con altri sospettati, in cui nessuno è escluso, fino ad arrivare a una soluzione del tutto imprevista e agghiacciante, che turberà quanto se non più dell'intera indagine.


Il classico confronto tra detective e giustiziere privato arriva qui ai vertici del genere, mostrando tutte le emozioni, spesso contraddittorie che muovono i due. In questo si riscattano dopo gli ultimi non brillanti ruoli della loro carriera un po' in panne Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal, granitici e umani come da tempo non li si vedeva.
La caratterizzazione dei loro personaggi è quindi fondamentale per la riuscita del film, ma questo non sarebbe tale senza quel colpo di scena finale e soprattutto quella costruzione ricca di inquietudine che Villeneuve è riuscito a creare.
Grazie alle musiche di Jóhann Jóhannsson, all'interpretazione dell'un po' relegato in disparte Paul Dano e il senso di claustrofobia che la fotografia (non a caso nominata agli Oscars) riesce a dare, quello che ne esce è un film di genere solido e capace di annichilire lo spettatore, uscendo così dall'etichetta "thriller" per entrare di diritto in quella dei film riusciti alla grande.


30 gennaio 2014

Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite al Cinema

Continuano le ottime novità in questa ultima settimana di gennaio! A due pellicole da Oscar (ovvero che sono state nominate) fanno però da contraltare parecchi altri film dal dubbio gusto e della dubbia necessità.
Come sempre, affidatevi a qualche consiglio spassionato, e poi, dritti al cinema:

Dallas Buyers Club
Mathhew McConaughey è ormai una garanzia per i film che sceglie di girare, se ci mettiamo poi Jared Leto coprotagonista, Jean-Marc Vallée alla regia, e i già due Golden Globes vinti, la certezza di vedere un gran film che parla di lotta all'AIDS da parte di un uomo qualunque si fa vivida.
Da non perdere!
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I Segreti di Osage County
Classico film sulla temuta riunione famigliare di una famiglia non proprio modello.
Il fatto però che il cast sia di alto livello -per quanto molto buonista- (Meryl Streep, Julia Roberts, Ewan McGregor, Benedict Cumberbatch e Juliette Lewis) e la sceneggiatura di Tracy Letts (lo stesso di Killer Joe) potrebbe rivelare gradite sorprese.
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Belle & Sebastien
Operazione nostalgia dalla Francia che va' a ripescare il bambino intrepido e il suo grosso cane bianco nei monti alpini.
I paesaggi promettono emozioni, il film ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, magari un po' meno.
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La Gente che sta Bene
Ennesima commedia italiana che già dopo nemmeno un mese dall'inizio dell'anno hanno già stancato. Il cast (Claudio Bisio, Margherita Buy, Diego Abatantuono) come la trama (uomo convinto della perfezione della sua vita-in realtà odiato a casa e a lavoro-si ritrova licenziato e costretto a ricostruire la sua vita) puzzano incredibilmente di già visto.
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Hercules - La leggenda ha inizio
Per chi pensava che la moda del mondo greco/romano dopo 300 e La furia dei Titani fosse ormai estinta, ecco la smentita.
Ma si sentiva davvero il bisogno di questa nuova versione del semi-dio, che mescola il pulp di Spartacus (Liam McIntyre presente, sigh) a una trama dalle ampie falle storiche?
Francamente, no.
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Il Segnato
Si faceva volentieri a meno anche dell'ennesimo sequel della saga di Paranormal Activity qui in salsa latinoamericana.
Il pubblico dei più giovani ha di che vedere questo fine settimana!
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The Pervert's Guide To Ideology
Il filosofo sloveno Slavoj Žižek famoso (solo ora per me) per la sua guida perversa al cinema continua la sua analisi posando lo sguardo su quelle pellicole ideologiche e religiose.
Un documentario sicuramente folle che vale la pena di vedere -previo recupero del capitolo precedente, magari.
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Dragon Ball Z
Esce infine sabato, l'inossidabile Goku alle prese con una delle sue innumerevoli battaglie, questa volta contro il dio della distruzione.
Per nostalgici e mai stanchi delle continue repliche tv.
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Christian Bale Day - L'Uomo Senza Sonno


La congrega dei blogger questo mese raddoppia!
Già, non bastava la celebrazione al Maestro Scorsese in onore del già cult The Wolf of Wall Street, visto infatti che questi day nascono principalmente per festeggiare un attore/regista degno di questo nome nel giorno del suo compleanno, la scelta è andata a quel camaleontico di Christian Bale, che proprio oggi spegne 40 candeline.
Dopo averlo visto muscoloso e in forma nei panni di Batman, e dopo averlo visto incredibilmente ingrassato e imbruttito in American Hustle, non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di vederlo scheletrico come non mai ne L'uomo senza sonno.


La pellicola di Brad Anderson ruota tutta attorno a Bale e al suo preoccupante dimagrimento, facendo scorrere e soffermare più che spesso la macchina da presa sul suo corpo, sul suo pallore, su quelle ossa sporgenti e quegli occhi incavati.
Il naturale senso di pietà per quest'uomo, e anche un po' di disgusto, è poi accentuato dal suo carattere schivo e imprevedibile, capace di essere divertente e romantico, ma anche di andare con una prostituta -forse sua unica vera amica- e di commettere i più gravi errori.
Trevor Reznik è infatti un operaio dedito al lavoro e alla solitudine, abitudinario (cliente fisso del bar dell'aeroporto) e incapace di dormire. Tutte le volte che infatti si appisola viene subito svegliato o da rumori o dal misterioso Ivan, apparentemente suo collega ma forse qualcosa d'altro.
Il film mostra infatti la lunga discesa negli inferi che la stessa mente di Reznik compie, tra quelle che appaiono fin da subito come allucinazioni, teorie complottiste che pian piano vanno a formarsi, paure e deliri che faticano a trovare un senso.


Il problema di The Machinist (questo il titolo originale) è però che il senso che qualcosa d'altro stia dietro ai deliri di Reznik si avverte fin dall'inizio. Quella sua mancanza di sonno, unita alla continua visione di un determinato luogo e di una determinata persona fanno scattare l'allarme nello spettatore che si mette subito a cercare di trovare la risposta e la soluzione al suo problema.
E quando questa arriva, bè, lascia abbastanza insoddisfatti anche perchè tra musiche inquietanti ma davvero troppo ripetitive, lo stile noir, la fotografia cupa che vira al grigio e i continui rimandi e riferimenti alle opere di Dostoevskij con cui Anderson ha confezionato la messa in scena, hanno fatto trasferire il mancato sonno di Reznik proprio a chi guarda.
Nulla da dire, però, su Bale che, come un attore della vecchia scuola, si cala in modo impressionante negli stretti e quasi invisibili panni del protagonista, rendendo la sua recitazione prima di tutto fisica, portando a galla tutto lo squallore e le ossessioni di un operaio e i suoi sensi di colpa.
Non certo il miglior film della carriera, per quel che mi riguarda, e credo che Bale stesso, visto il peso che -spero con piacere- ha messo su ultimamente, si sia lasciato volentieri alle spalle questa produzione.


Come sempre, a partecipare alla festa anche gli altri inossidabili blog:

Director's cult

Non c'è paragone

Pensieri Cannibali

Ho voglia di cinema

White Russian

Life functions terminated

Montecristo

29 gennaio 2014

Take This Waltz

E' già Ieri -2011-

Una volta riaccese le luci ti chiedi: meglio il film o la canzone?
Sì, meglio aver scoperto un altro grande capolavoro di Leonard Cohen, o la commedia romantica molto agrodolce e poco commedia?
Rispondere non è affatto facile, perchè fondamentalmente film e canzone sono indivisibili, sciogliendosi e fondendosi uno nell'altro.
Non solo perchè la scena a cui Cohen fa da colonna sonora è spettacolare, ricca di emozioni e sentimento, capace di mostrare in pochi attimi tutte le fasi di una relazione dando nuova vita al vorticoso giro in tondo della cinepresa che già si è visto. E non solo perchè l'uno riprende il titolo dell'altra, a significare quel giro di valzer, quel giro di giostra che Michelle Williams -moglie in parte insoddisfatta in parte travolta dalla passione per il misterioso "altro"- si concede con questa apparentemente fugace storia d'amore al di fuori del matrimonio, ma soprattutto per quel momento per lei sola, in cui sulle note non di Leonard Cohen ma dei Buggles con la loro Video killed the radio star, seduta su una giostra vera e propria, spazza via ogni pensiero e ogni tristezza.


Da uno spunto non poi così originale, il film riesce però a dispiegarsi in continui momenti di palpabile vita vissuta, dove l'abitudine si scontra con il nuovo, e l'amore con la passione.
L'incontro improvviso tra Margot con un gran bell'altro (Luke Kirby), che si scopre essere il vicino di casa, che la segue e la rimira da lontano, mentre (forse solo per questo ma forse no) il suo matrimonio con un cuoco (Seth Rogen) fissato con il pollo inizia a far vedere le sue crepe, è infatti un piccolo cliché qui arricchito dalle particolarità donate sia dagli attori che dalla sceneggiatura ai vari componenti del triangolo.


Si diceva inizialmente che Take this Waltz è una commedia romantica molto agrodolce, e infatti a momenti di serena vita matrimoniale fatta ancora di vocine, giochetti e prese in giro, si alternano gli umori neri di Margot, i problemi di alcolismo della cognata, i silenzi pesanti.
Con l'altro invece bastano pochi sguardi, basta nuotare liberi in una piscina.
Ma a questi momenti agrodolci, quanto mai reali e vividi nella loro messa in scena, fanno da contraltare attimi di immensa ironia e risate, tra la lezione di acquagym in cui il terrore di molti si manifesta, alle battute sprezzanti che Margot concede sia a Lou che a Daniel.
Sarah Polley riesce così con il suo secondo lungometraggio a rubare il cuore dello spettatore, come già aveva saputo fare con Away from Her nel 2006, immergendolo nei panni indie di Margot, di una donna che si sente ancora una ragazzina, e che ancora non si conosce bene.
Arrivati alla fine, quindi, ci si trova emozionati e malinconici per aver assistito a una storia forse qualunque ma ricca di vita, a sentimenti palpabili che si vivono assieme alla splendida Williams, trovandosi spiazzati di fronte al sorriso di Daniel ma anche inteneriti dalla dolcezza di Lou. Un po' come la protagonista, quindi, si oscilla tra felicità e insoddisfazione, ritrovandosi ancora una volta a concedersi quel giro in giostra senza pensieri che, inevitabilmente, finirà.



28 gennaio 2014

Ray Donovan

Quando i film si fanno ad episodi

La Showtime quest'anno ha saputo rimediare alla tragica fine di Dexter con due ottimi prodotti che, se non seguono la stessa sorte del killer, avranno di che glorificarsi.
Uno è Masters of Sex, già esaltato e amato lo scorso anno, l'altro è questo Ray Donovan, recuperato solo ora più per mancanza di tempo che per mancanza di stimoli.
Già il cast è infatti di quelli di alti livelli, con la sfida attoriale tra il granitico e silenzioso Liev Schreiber e lo spumeggiante, eccessivo e incontrollabile John Voight a tenere banco, in più i due trovano negli altri coprotagonisti ottime spalle, tra cui quell'Eddie Marsan già incontrato e apprezzato in Still Life e Southcliffe.


Schreiber e Voight sono figlio e padre e, come tradizione, sono agli apposti.
Quando quest'ultimo esce di prigione dopo 20 anni, la sua gestione tra amori licenziosi, giri di droga e sbalzi d'umore, non sarà certo facile per uno come Ray abituato a risolvere le questioni scottanti dei vip che per questo lo compensano lautamente. Il suo lavoro è infatti quello di trovare scappatoie e escamotage per non rovinare l'immagine dei suddetti vip, tra attori teen idol in realtà dipendenti dal sesso con trans, a giocatori di basket drogati e dediti al tradimento seriale.
Ma il lavoro di Ray passa presto in secondo piano, lasciando invece spazio alle sue beghe famigliari, con lui e i suoi due fratelli (pardon, tre, visto che scopre solo ora della scappatella del padre con la donna di colore Claudette che ha dato vita a Daryll) così diversi tra loro che si ritrovano in modo diverso a gestire il rapporto con il padre. Terry è infatti il più saggio, ma anche tormentato da un perenne senso di inferiorità, accentuato da un deficit fisico causato dagli incontri di boxe, Bunchy è invece ormai alla deriva, molestato ancora in tenera età da un prete, che lo ha portato nella strada facile della droga e dell'alcool.
Oltre a loro, Ray deve far fronte a una famiglia esigente, con una moglie che ancora non lo conosce e che è spaventata dalla sua natura violenta, e una figlia con i primi bollori adolescenziali.


Tutto questo è raccontato con una sana dose di freddezza e di sangue, che fanno emergere tutti i lati spigolosi di un protagonista scomodo e con cui è difficile simpatizzare. Molto meglio va' invece con il folle Mickey , pruriginoso, pazzo per il twerking e in perenne oscillazione tra padre a suo modo amoroso e premuroso e mina vagante che potrebbe rovinare tutto visto il suo rapporto con l'FBI.
La serie semina infatti a poco a poco i germogli di misteri passati che solo in parte troveranno risposta, lasciando a bocca aperta e coinvolti in storie profonde e difficili da digerire.
Arrivati al finale molto evocativo nella sua immagine, si resta così soddisfatti da un prodotto in cui, seppure i sentimenti vengono messi da parte, lo stile e la trama sapranno sicuramente crescere nella già confermata seconda stagione.


27 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street

Andiamo al Cinema

Che si può dire a Leonardo Di Caprio dopo questa sua ennesima interpretazione da brividi?
Cosa gli si può dire infatti dopo aver visto le due vene gonfiarsi, la sua bocca sbavare, ululare, gridare, cantare, dopo averlo visto ballare e saltare, darsi da fare con quante più donne possibili, muoversi come un ossesso sotto gli effetti della droga e del proprio ego con un microfono in mano? Cosa gli si può dire dopo averlo visto passare da giovane spaesato al suo primo giorno a Wall Street con moglie un po' cessa/estetista al seguito a multimilionario con tanto di yacht e supervilla e supermoglie modella? Cosa gli si può dire quando, sornione ed elegante, ti si rivolge dal grande schermo, invitandoti a seguirlo nel suo folle mondo dove la linea della legalità si fa sempre più sbiadita?
Gli si potrebbe dire che l'Oscar quest'anno come non mai se lo merita davvero, anche se il suo collega Matthew McConaughey potrebbe soffiarglielo grazie alla sua prova in Dallas Buyers Club.


E cosa si può dire proprio a Matthew McConaughey, qui in una comparsata di livelli altissimi in cui ancora una volta dimostra il suo saperci fare, facendo dimenticare gli anni di commediole romantiche, e cosa si può dire a tutti gli altri copratogonisti, a partire da un folle Jonah Hill e passando per il sempre più affermato Kyle Chandler (che per me rimarrà l'uomo del giornale del giorno dopo con un gatto rosso), per la bellezza di Margot Robbie e pure per il francese Jean Dujardin che trova nuovo respiro dopo The Artist?
Che gli vuoi dire a questi super attori che, magari relegati in ruoli minori rispetto all'inarrivabile Leo, sono delle spalle che lo sostengono e non lo fanno certo sfigurare?


Che vuoi dire poi a Terence Winter, lo sceneggiatore che dopo aver scritto I Soprano e Boardwalk Empire (qui assieme proprio a Scorsese) giganteggia con una sceneggiatura folle e solida, dove i monologhi di Jordan lasciano il segno ad ogni parola, dove il suo stile si fonde in tutto e per tutto con quello del regista, immettendo all'interno del mondo sporco della finanza molto dei gangster movie che segnano il passato di entrambi?


E infine cosa vuoi dire a lui, a Martin Scorsese?
Un regista che all'età di 71 anni riesce ad essere cool e moderno come molti giovani autori non riescono ancora ad essere, uno che mette la sua firma e il suo stile sempre in gioco, giocando con la macchina da presa, facendogli compiere mirabolanti viaggi con carrellate che lasciano a bocca aperta, con rallenti unici? Uno che sembra nato con la cinepresa in mano, e che la conosce bene, così come conosce bene i tempi e gli spazi in cui muoverla.
Che gli vuoi dire per la colonna sonora scelta, una bomba che spazia dal rock più moderno ai grandi classici e pure per Gloria di Umberto Tozzi, sempre sul pezzo e sempre in linea con la scena prevista?
Che gli vuoi dire se riesce a tenerti incollato alla poltrona per 180 minuti senza mai farteli pesare, portandoti nel vorticoso mondo di Wall Strett con Jordan a farti da Cicerone, immergendoti nella sua folle vita vissuta a 1000 km/h che rallenta -come lo stesso film- solo verso la fine, dove né alcool né droghe sono più presenti?
Che gli vuoi dire a Martin quando dopo questi 180 minuti passati con il sorriso e la soddisfazione sulle labbra -vuoi per la bravura di Di Caprio, vuoi per quella degli altri copratogonisti, vuoi per la sceneggiatura o vuoi proprio per la regia-, cosa gli vuoi dire quando ti lascia con un finale da brividi, in cui tu -pubblico- ti rimiri allo specchio di un altro pubblico, che come te pende dalle labbra di Jordan Belfort?


Forse, a tutti, nessuno escluso, la sola cosa da dire è racchiusa in un'unica e semplice parola che riesce a racchiudere l'ammirazione, la soddisfazione e l'euforia che di certo non svaniscono quando le luci si accendono, una parola, e una risposta, che proprio nel film ricorre ben 569 volte:

FUCK!


Biglietti, Prego! - Il Boxoffice del Weekend

Non poteva esserci storia in questo weekend! Lo trasbordante film di Scorsese si guadagna meritatamente il primo posto (perchè? tornate questa sera a leggere da queste parti) staccando di un bel po' tutti gli altri. Seguono, infatti, molti italiani e l'unico -ma non promettente- film di animazione in circolazione. Le altre nuove entrate si fermano invece nella seconda parte della classifica.
Ecco i dettagli:

1 The Wolf of Wall Street
week-end € 3.811.319 (totale: 3.811.319)

2 Tutta colpa di Freud
week-end € 2.098.227 (totale: 2.098.227)

3 A spasso con i dinosauri
week-end € 1.583.102 (totale: 1.583.102)

4 Il capitale umano
week-end € 700.545 (totale: 4.571.719)

5 The Counselor - Il Procuratore
week-end € 646.807 (totale: 2.718.904)

6 Un boss in salotto
week-end € 571.380 (totale: 11.800.274)

7 I, Frankenstein
week-end € 442.590 (totale: 442.590)

8 Last Vegas
week-end € 404.837 (totale: 404.837)

9 The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca
week-end € 338.182 (totale: 4.620.259)

10 American Hustle - L'apparenza inganna
week-end € 299.225 (totale: 4.595.764)

26 gennaio 2014

Rumors Has It - Le News dal Mondo del Cinema

E' senza dubbio la notizia della settimana, quella che, dopo i primi rumors a riguardo e l'attesa che già cresceva, ha visto Quentin Tarantino annullare il suo The Hateful Eight. Il motivo? Dopo che il regista ha dato ad alcuni attori e persone di fiducia la prima stesura della sceneggiatura, questa è comparsa in rete, rovinando così la realizzazione di un film di cui si avrebbe saputo tutto.
Lo scontento, per il web, è unanime.

Chi non avrà troppi problemi di sceneggiatura sono ben due film dedicati a Walt Disney. Ora che con Saving Mr. Banks è caduto il tabù di parlare dell'animatore, già si stanno girando due progetti indipendenti riguardanti i primi anni di Walt fino all'arrivo del successo e di Topolino. Walt Before Mickey di Ari Taub e As Dreamers Do di Logan Sekulow dovrebbero uscire negli USA nel corso dell'anno.

L'ascesa di Joseph Gordon-Levitt non si ferma, nemmeno dopo il suo promettente esordio dietro la macchina da presa con Don Jon. In attesa di vederlo nel sequel di Sin City, l'attore sembra ormai deciso a vestire i panni di Philippe Petit (il funambolo che attraversò le Torri Gemelli su una corda) nel prossimo film di Robert Zemeckis, To Reach the Clouds.

Anche la carriera di Sarah Paulson ha subito un notevole crescendo in questi ultimi anni. Rivelata ai più dalla serie American Horror Story, l'attrice è ora attesa in Italia con la sua interpretazione in 12 anni schiavo, ma ha già in cantiere Carol diretto da Todd Haynes e adattamento del giallo The Price of Salt di Patricia Highsmith. Qui, tornerà nei panni di una lesbica, amante di Cate Blanchett, per una storia di ricatti e discriminazioni. Nel cast anche Rooney Mara.

Dopo Sorrentino, anche Matteo Garrone -tra i registi italiani più apprezzati- si appresta a girare in inglese. The Tale of Tales suo prossimo film le cui riprese inizieranno in primavera, sarà infatti ambientato in Italia ma prevede nel cast Salma Hayek e Vincent Cassel e nella produzione la francese Le Pacte.

Per finire, due notizie di servizio.
La prima riguarda la scelta del film di apertura della 67esima edizione del Festival Di Cannes che è caduta su Grace di Monaco, con una splendida Nicole Kidman nei panni della principessa e Olivier Dardan alla regia.
La seconda riguarda un'altra scelta, quella dell'attrice italiana che avrà l'onere e l'onore di doppiare la sensuale voce di Scarlett Johansson di cui si innamora Joaquin Phoenix in Her. A spuntarla è stata Micaela Ramazzotti.
Non so voi, ma io me lo gusterò in versione originale.

25 gennaio 2014

Zack and Miri Make a Porno

E' già Ieri -2008-

Dopo la parentesi agrodolce e zuccherosa di Jersey Girl, e dopo soprattutto il sequel comunque riuscito di Clerks fatto per racimolare credibilità e grana causa precedente flop, Kevin Smith torna in piena forma! E lo fa lasciando da parte censure o moralismi vari, vedasi il titolo per credere.


Cosa spinge Zack e Miri a fare un porno?
Fondamentalmente, la vita.
Perennemente in bolletta, divisi in lavori non certo gratificanti (cameriere lui, non meglio precisato lei), i due che sono amici dalle elementari e che ora condividono un appartamento a cui a ruota manca l'elettricità, l'acqua o il riscaldamento, subiscono l'ennesima sberla in faccia al ritrovo tra ex studenti del liceo.
Come fare quindi per mettere fine al loro periodo nero e riacquistare un po' di dignità casalinga?
Facendo un porno!
Sì, perchè tutte quelle cose che solitamente frenano le persone normali ad avventurarsi in questo mondo (una famiglia a giudicarli, una dignità e una morale, freni inibitori) loro non ce l'hanno.
E così, assumendo altri attori, trovando un produttore e -dopo peripezie e cantonate- anche una location, allestire la trama e poi la messa in scena si rivelerà non solo un lavoro stimolante e a loro congeniale, ma anche un modo per conoscersi come mai si erano conosciuti in tutti questi anni.


Come già per gli altri suoi film, anche qui Kevin Smith traveste la più classica delle commedie romantiche con la sua sana dose di ironia e comicità grossolana. L'amore che scatta al primo sesso (pessimo, davvero pessimo titolo italiano) tra Zack e Miri, per quanto telefonato non fa che dare quell'emozione che una commedia piena di citazioni, di scene hard al limite della censura ma soprattutto dell'assurdo ha bisogno.
Il regista trova poi in Seth Rogen e Elizabeth Banks un'ottima coppia di protagonisti, e anche se manca il fido Silent Bob, il suo compagno Jay (qui Lester) non si può certo lamentare visto il ruolo assegnatogli. A concludere il quadretto, le attrici porno assunte proprio per il porno Katie Morgan e Traci Lords (già vista in Cry Baby) che ironizzano come non mai sul loro mestiere.
Aggiungendo l'ormai ovvia colonna sonora DOC, Zack & Miri fanno tornare in carreggiata lo Smith smargiassone e, mi raccomando, proseguite la visione oltre i titoli di coda dove vi aspetta una gradevole sorpresa!


24 gennaio 2014

Nebraska

Andiamo al Cinema

E' giunto il momento di una confessione: soffro di gerontofilia.
Sì, esatto, adoro i vecchietti e tutto ciò che li riguarda, ma non nel modo in cui lo intende Bruce LaBruce, nel modo semplice con cui ci si avvicina ai loro tempi, alle loro storie e al loro mondo.
Libri come Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (di cui a breve arriverà la trasposizione cinematografica) e L'imprevedibile viaggio di Harold Fry mi hanno appassionato e commosso fino alle lacrime, e film come Amour o Una storia vera sono parte della mia classifica di classici.
Non potevo quindi perdere l'ultimo film di Alexander Payne, che dopo le Hawaii diverse mostrateci in Paradiso Amaro, racconta il lento viaggio del vecchietto Woody e del figlio David per le strade d'America.


Il loro viaggio inizia quando Woody si convince di aver vinto 1 milione di dollari, e visto che la moglie e figli non gli credono -vedendo nella sua preziosa lettera l'ennesima truffa per raggirare le persone- lui scarpina appena può per cercare di raggiungere a piedi Lincoln, Nebraska. Peccato che ogni suo tentativo di fuga finisca nel ritorno a casa vuoi per il figlio, vuoi per la polizia. Stanco quindi di questo suo pericoloso viaggiare, e spinto anche dalla voglia passare del tempo con il padre spesso assente e molto taciturno, David decide di accompagnarlo in auto fino alla sede dove riscuotere la vincita, dando vita a un on the road dove non mancano gli inconvenienti e dove, come spesso succede, l'importante non sarà più la meta ma il viaggio in sé.
Nelle miglia che li separano, infatti, David imparerà a conoscere meglio il padre, le motivazioni del suo alcolismo, anche perchè -causa ennesimo infortunio- si vedranno costretti a restare un intero weekend nella loro città natale, dove il passato riaffiora ad ogni angolo e la riunione di famiglia permette di mettere insieme tasselli mai conosciuti di una vita quasi al termine.


Nebraska è così più di un film con protagonista un vecchietto, e non solo perchè il vecchietto in questione è interpretato da un magnifico Bruce Dern. Nebraska è un film che sul tempo e sul ritmo della vecchiaia si compone, e se l'effetto straniante sia del bianco e nero che dell'apparente lentezza  lascia inizialmente perplessi, una volta entrati nel mondo di Woody tutto ha una nuova prospettiva, che si mette a fuoco poco a poco, come lo stesso Payne fa con i suoi cambi di piano.
Nebraska è poi più di un road movie classico, con il viaggio metafora di conoscenza, perchè quello che succede a  Woody e al figlio, è un cercare di venirsi incontro, con la curiosità e la sete di conoscenza dell'uno che si va a scontrare con la testardaggine e la propensione al silenzio dell'altro.
Incorniciato il tutto da una fotografia strepitosa che va a mostrare l'America rurale e semplice, e dalle musiche poetiche e sognanti di Mark Orton, Nebraska diventa così un film che scorre e si gusta tranquillamente, ridendo (soprattutto grazie alla sboccata e per questo irresistibile June Squibb) e commuovendosi, arrivando al finale ricco di giustizia e di significato, pienamente soddisfatti e con il cuore gonfio.


23 gennaio 2014

Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite al Cinema

La settimana si prospetta grande forse solo per un unico film, attesissimo e che promette davvero tanto! Per il resto, abbastanza fuffa, con commediole italiane e non, la cui unica sorpresa potrebbe arrivare dalla Francia.
In ogni caso, se non volete sbagliare, ecco qualche consiglio:

The Wolf of Wall Street
Promette scintille già solo a nominarlo, il nuovo film di Scorsese. Nel giorno a lui dedicato, il consiglio di correre a vederlo è d'obbligo, anche perchè il bel Leo nel ruolo di un broker/multimilionario non così corretto regala un'altra interpretazione da Oscar. Che questa volta se lo porti davvero a casa?
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Last Vegas
Le vecchie glorie sempre più spesso tornano a recitare insieme in film dal sapore goliardico. Questa volta in una Last Vegas molto Una notte da leoni -che non a caso fa da sfondo al matrimonio del playboy del gruppo- abbiamo Michael Douglas, Robert De Niro, Morgan Freeman, Kevin Kline.
Nì.
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Tutto sua Madre
Commedia francese sull'identità che promette sicure risate visto il doppio, doppio ruolo di Guillaume Gallienne diviso tra madre e figlio e pure tra attore e regia. La sua accettazione della diversità passerà tra collegi maschili e gay club.
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I, Frankenstein
La più classica delle lotte tra bene e male si svolge tra demoni e Gargoyles (...), nel mezzo, Adam, la creatura creata ormai 200 anni fa da dottor Frankenstein che possiede la chiave per distruggere l'umanità. Una scienziata (...) lo aiuterà a capire da che parte stare.
Aaron Eckhart, Bill Nighy e Yvonne Strahovski per un film da cui mi terrei alla larga.
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Tutta Colpa di Freud
Paolo Genovese è ormai un altro nome da aggiungere ai commedioli italiani, e dopo Immaturi torna al cinema con un soggetto scritto nientemeno che con Leonardo Pieraccioni.
La storia? Un padre psicologo che deve far fronte alle disavventure amorose delle tre figlie.
Se i cinepanettoni non vi sono bastati...
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Red Krokodil
Indagine e viaggio allucinante sulla dipendenza e le conseguenti devastazioni della droga Krokodil, che provoca martoriazioni e escoriazioni sulla pelle di chi ne abusa. Sulla carta interessante, ma visto il protagonista unico e l'unico ambiente, il rischio di estreme velleità autoriali è in agguato.
Guardare il Trailer per credere.




A Spasso con i Dinosauri
Nel suo primo approccio con la computer grafica la Disney aveva proposto il grande flop Dinosauri. Ora la 20th century fox prova grazie al 3D ad incantare il pubblico dei più piccoli con personaggi buffi e una storia lineare, peccato che non sembri creare nulla di nuovo di quanto già fatto.
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Hannah Arendt
Per finire, il film che sarà in sala solo lunedì 27 in occasione del giorno della memoria e che ripercorre gli anni più travagliati dell'intellettuale ebrea trasferitasi negli Stati Uniti nel '40. La donna seguirà lo storico processo a Gerusalemme di Adolf Eichman, da cui capirà verità che si vogliono mantenere segrete, formulando la teoria della banalità del male.
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Martin Scorsese Day - Quei Bravi Ragazzi


In occasione dell'uscita del suo nuovo e scintillante film -The Wolf of Wall Street- l'inaffondabile gruppo di blogger ha deciso di rendere omaggio al signor Scorsese in modo appropriato: parlando dei suoi film passati.
Un po' per cominciare a smaltire la lista di scheletri eccellenti che penzolano nella mia videoteca, ho scelto Quei bravi ragazzi, ma visto che della filmografia del regista altri grandi buchi devono essere coperti, il senso di colpa non è poi così sedato.


Goodfellas lo mette però a tacere per tutti i 146 minuti della sua durata, e anche di più, visto lo trasbordante spettacolo visivo che ci propone.
La somma stilistica di Scorsese è qui condensata in tutta la sua maestria, tra rallenti, voci fuori campo, sguardi in macchina, storie di mafia e di sangue. Il tutto condito da prove attoriali di altissimo livello e da una trama fitta di storia e intrecci che ci porta a rivivere quel lusso sfrenato e anche un po' pacchiano degli anni '80.
Si inizia però quando Henry è solo un ragazzino, che per avere un po' di soldi e per entrare in quello che ai suoi occhi immaturi è il circolo cool del quartiere, inizia a fare da fattorino alla gang di Paul Cicero. Tra primi pestaggi, incendi e affarucci illegali, Henry cresce assieme al compare assegnatogli, l'irrequieto Tommy, divenendo in breve tempo un tassello fondamentale dell'organizzazione e iniziando a creare i propri colpi anche con l'aiuto di Jimmy, suo protettore e mentore.
La sua ascesa sembra così inarrestabile, tra moglie e amante, figli e colpi resi immacolati dalle mazzette che svuotano le casse della Lufthansa e dell'Air France.
Tutto cambia però quando la prigione diventa un appuntamento inevitabile e con lei la dipendenza dalla droga, che si insinua nelle capacità di giudizio e di attenzione di Henry, che alla sua uscita per raggranellare quel denaro perso durante gli anni in gattabuia, raggira il suo primo capo Paul, iniziando un proprio traffico di cocaina. Nemmeno il grande colpo finale può mettere fine alla sua paranoia e alla sua sete di denaro, e con Jimmy sempre più mal disposto a dividere il bottino e Tommy sempre più imprevedibile e senza coscienza, il cerchio attorno a lui inizia a restringersi fin troppo.


Per molti, Goodfellas è il miglior gangster-movie mai girato.
Non essendo un'esperta del genere, mi limito a dire che è di certo uno dei migliori film mai girati vista la maestria e la bravura del signor Scorsese dietro la macchina da presa, con le sue carrellate, il suo montaggio frenetico, le sue inquadrature e la sua attenzione per i dettagli che toccano vertici altissimi.
Non sono da meno, poi, le interpretazioni di attori che hanno qui lasciato il segno perdendolo poi in una carriera scoppiata come una bolla di sapone: Ray Liotta con il suo faccino giovine senza bisogno di bisturi è l'emblema dell'artificiosità degli anni '80 e -non prendetemi per pazza- con la giusta angolatura fa capire perchè il Di Caprio di oggi sia il nuovo fantoccio di Martin mentre Joe Pesci prima di darsi al comico o alla musica è spietato e fuori di testa come non mai e infine Robert De Niro, qui un po' -ma solo poco- in disparte, è ai suoi vertici, prima di scopiazzare se stesso in innumerevoli film.
Questo mix esplosivo, unito ad un prefinale da urlo e un finale ancora più intrepido nel suo omaggio, fa sì che a distanza di 14 anni (e soprattutto a distanza da un'estetica a cavallo tra gli 80's e i 90's che non brilla certo per la sua eleganza) questo film appaia invecchiato solo per quanto riguarda la sfera di costumi e arredi, mantenendo invece una freschezza registica che giovani registi possono solo annusare o emulare.
Vedere per credere:



Bene, prima di correre a gambe levate a vedere cosa Martin nostro sia riuscito a combinare a Wall Street, passate anche dagli altri organizzatori di questa celebrazione:

Cinquecentofilminsieme 
Director's Cult
Ho Voglia di Cinema
Life functions terminated
Montecristo
Non c'è paragone 
Pensieri Cannibali
Recensioni Ribelli
Scrivenny 2.0
White Russian

22 gennaio 2014

La Donna che Canta

E' già Ieri -2010-

Da queste parti Denis Villeneuve è arrivato praticamente per caso all'uscita di Prisoners. Regista ancora non conosciuto, film che sembrava -sulla carta- non promettere nulla di nuovo, ha invece raccolto l'entusiasmo e il plauso in giro per la blogosfera, in cui anche i suoi passati film venivano menzionati come piccole perle.
Con Polytechnique ho quindi iniziato la mia breve incursione nella filmografia del canadese, trovandomi spiazzata di fronte a una storia e una realizzazione così splendidamente intense.
Con questo suo secondo lavoro -anche se quarto, vista l'apparente impossibilità a reperire i suoi esordi-, Villeneuve conferma la sua bravura in entrambi in campi, mettendo in scena una trama complessa e forte, sapendo dosare le emozioni con la grazia dietro la macchina da presa.


Tutto inizia con i gemelli Jeanne e Simon riuniti dal notaio di cui la madre era segretaria per leggerne il testamento. Per loro ci sono tre lettere: una da consegnare al padre (che credevano morto in guerra), una al fratello (che non sapevano di avere) e una per loro, da aprire quando le altre verranno consegnate. Frastornati dalle notizie, i due reagiranno in modo diverso, con Simon testardo e cocciuto che non ne vuole sapere nulla, ritenendo oltraggioso e un'ennesima pazzia materna questa trovata e quella di farsi seppellire senza bara e nuda, e con Jeanne, invece, spinta dal pensiero matematico ma anche dal desiderio di conoscere meglio la madre che parte per il Libano -dove Nawal ha vissuto prima di trasferirsi in Canada- alla ricerca del fratello. Il suo viaggio non sarà privo di ostacoli, con i parenti che vedono in lei l'onta della madre e l'omertà che regna attorno agli anni bui della guerra civile.
Quando la prima, amara e terrificante, verità verrà a galla, anche Simon arriverà nella terra natale, e inizierà la sua ricerca del padre, ancora più difficile da trovare.
Questo loro lungo viaggio tra paesaggi magnifici e rovine che continuano a fare da memento, è intervallato da flashback che in parallelo mostrano Nawal alle prese con decisioni e situazioni sempre più difficili da gestire e affrontare, con la sua testardaggine, la sua forza di volontà e la sua caparbietà che l'hanno portata ad essere soprannominata La donna che canta.


Un film non dovrebbe mai essere giudicato solo dal suo finale, ma se si dovesse, questo è uno di quei casi in cui si rimarrebbe senza parole di fronte a un segreto rivelato, una riconciliazione all'apparenza impossibile e una soluzione inenarrabile. Ma anche se si lasciasse per un attimo da parte il colpo di scena, che arriva silenzioso e inarrestabile, il film resterebbe in piedi per come riesce a raccontare una ricerca e un passato, per come l'intreccio tra madre e figli si compie a distanza di anni e per come Villeneuve ha messo in scena il tutto.
La prima, lunga e suggestiva sequenza, che si conclude sullo sguardo intenso di un bambino basterebbe a significare lo stile e la grandezza dell'intera pellicola, che avanza in modo solido in una costruzione senza intoppi. Il fatto poi che all'interno della colonna sonora ci siano anche dei pezzi dei Radiohead, non fa che aumentare la bellezza e la profondità di un film in cui anche la matematica viene messa in discussione.


21 gennaio 2014

Mad Men - Stagione 6

Quando i film si fanno ad episodi

Già con la quinta stagione si era insinuato il senso di amicizia e di famiglia verso i personaggi che affollano le vite e gli uffici di questi Mad Men, con l'accompagnarli attraverso gli episodi nelle piccole svolte delle loro giornate, nei passi falsi e negli amori sempre più simile a una finestra aperta nel mondo degli anni '60. Ora, con questa sesta, la sensazione si fa certezza, con la voglia insaziabile di proseguire minuto per minuto ad osservarli, a viverli prima che tutto inizi a finire il 13 aprile, quando la prima parte della settima e ultima stagione verrà messa in onda.
E la suddetta certezza è ancora più solida visto che in questo -lungo- recupero, inframmezzato da altre serie TV non c'è stato nessuno sbando, nessuna caduta tra una stagione e l'altra, facendo di Mad Men uno dei rari casi in cui la serialità non si fa ripetizione, la longevità non si fa allungamento di un brodo.


Don Draper rimane infatti statuario e ammaliante come al suo solito, riprendendo nel modo più pericoloso il suo vizio di tradire, mentre la non più così amata Megan ha il suo successo televisivo in una soap e i figli crescono nel bene e nel male senza di lui.
Lo spazio è come sempre diviso anche con gli altri coprotagonisti, con Pete sempre più Draperiano ma mai capace come lui, con Joan alle prese con la sua coscienza e soprattutto con Peggy contesa e al centro di dispute.
Perchè, se è vero che i temi come razzismo, contestazione e amore sono sempre presenti, a cambiare è l'ambiente in cui questi vengono presentati, con la Sterling Cooper Draper Pryce che si fonde con la rivale CGC dando vita a una difficile convivenza tra menti e cuori.


E così si procede in evoluzioni e involuzioni, immersi in un'eleganza che non è data solo dai costumi e dagli ambienti, ma anche dalla messa in scena e, soprattutto, dalla sceneggiatura.
La perfetta calibratura con cui ogni episodio è confezionato è infatti il vero segreto di questo successo inaffondabile, con frasi e dialoghi sempre sopraffini. L'esempio perfetto è forse nella scena clou di questa stagione, con l'incontro che strazia il cuore tra Betty e Don, con lei che, tornata in forma, racchiude in poche parole tutto il suo tormento: Amarti è il modo peggiore per stare con te.


20 gennaio 2014

The Counselor

Andiamo al Cinema

Lo scorso giovedì, durante i consigli sulle nuove uscite, ero stata la prima a dire di correre a vedere questo film. I motivi erano molteplici, e tutti sembravano confermare il mio imperativo... ma come sempre, non c'è mai certezza, e anche quando ci sono di mezzo nomi da far tremare un amante del cinema, la delusione è dietro l'angolo!


Procediamo con ordine:
- il cast è di quelli seri, e sulle loro doti nulla si può dire, con un Fassbender sempre più affascinante (anche perchè -come si dice nel prologo- ci sa fare), un Brad Pitt e un Javier Bardem imbruttiti non poco ma sempre superbi, una Penelope Cruz che incanta e una strepitosa e incontenibile Cameron Diaz, che torna ai livelli alti delle sue interpretazioni dando corpo a una villain con i contropacchi.
- la sceneggiatura è la prima originale di Cormac McCarthy, romanziere americano che sa di lande rocciose e solidità, e che infatti consegna uno script granitico e mascolino.
Ma, e qui arriva il primo ma, se da una parte alla stereotipicità di alcuni personaggi si può soprassedere, dall'altra non si può proprio perdonare una trama che non spiega o non mostra le motivazioni che spingono l'avvocato protagonista a mettersi in affari con il cartello messicano, né le basi e i vari intrecci che collegano i coinvolti nel raggiro, tra mediatori e donne pericolose.
In più, -e scusa Cormac se ci vado giù dura- le continue frasi ad effetto, le riflessioni filosofiche a cui più o meno tutti si lasciano andare possono funzionare in un romanzo dove ci si appassiona e ci si sorprende, in un film, invece, fanno sprofondare il tutto in una verbosità eccessiva, in un'esaltazione della parola che perde così il suo significato, o almeno l'attenzione dello spettatore.
- infine, la regia di Ridley Scott non è certo delle migliori, perdendosi in un montaggio fin troppo confusionario, in una freddezza degli ambienti che rappresenta la freddezza dei personaggi con i quali non si riesce ad interagire.


Usciti dalla sala si cerca così di rimettere ordine al tutto, di cercare di trovare quelle motivazioni che sembrano mancare ai protagonisti, di giustificare il più possibile la visione visti gli sprazzi di insana follia presenti che finiscono per rappresentare il film (la spaccata sul parabrezza della Diaz, o il meccanismo strozzante, o ancora la lezione impartitaci sulla purezza dei diamanti...), insomma, di trovare il lato positivo, anche il più piccolo, a The Counselor.
Questo perchè l'idea di aver preso una cantonata è difficile da affrontare, e perchè la solidità di quanto visto si continua a percepire. Ma, a conti fatti, salvati gli attori e alcune perle di sceneggiatura, gran poco si salva, e a farsi strada non è più tanto il senso di distacco o di ribrezzo, quanto di vera e propria delusione verso un film che sulla carta faceva invece fremere.


P.S.. cari titolisti italiani, se il film si intitola The Counselor e voi già lo sottotitolate Il Procuratore, perchè poi continuare a chiamare il protagonista Avvocato?