30 aprile 2015

K-Horror Day - Hansel e Gretel


Che cosa?
Un altro horror su In Central Perk?
Che succede?
Ebbene sì, non paga dei brividi regalatemi da Saw prima e da Suspense poi, complice il buon Obsidian sono tornata, armata di un muscoloso giovine al mio fianco, ad affrontare il genere.
L'occasione lo richiedeva, visto che in quel di The Obsidian Mirror da un mese a questa parte si parla di Whispering Corridors e nell'ultimo giorno di questa iniziativa, la blogosfera tutta (o quasi) si è riunita all'insegna dei k-horror.
Cosa sono i k-horror mi dite voi che, come me, facevate di tutta un'erba un fascio?
Sono gli horror Koreani, in cui non c'è bisogno di chissà quali effetti splatter o di sangue, bastano le presenze, bastano i sussurri e possibilmente dei lunghi corridoi per incutere timore.


Hansel e Gretel queste caratteristiche ce le ha tutte.
Prodotto in Korea, nel 2007, non è propriamente una versione orrorifica della fiaba dei fratelli Grimm, ma ne è una derivazione, con riferimenti e vere e proprie citazioni, che lo rendono ancora più particolare.
Tutto inizia con il giovane Eun-soo, alla guida della sua auto, imprudentemente al telefono con la fidanzata incinta che gli rinfaccia l'essersene andato nel momento del bisogno, con una decisione tanto importante (abortire o non abortire) da prendere.
Va da sé che Eun-soo uscirà fuori strada, avrà un incidente, e si sveglierà quando ormai è buio, in una foresta che non conosce, con una bambina affianco che lo porta nella sua casa.
Una casa inquietante, per quanto il sogno di ogni bambino, piena all'inverosimile di giochi, di stampe, di carta da parati tutto a tema bambini, conigli, orsi ecc. ecc. Qui Eun-soo conosce il fratello di Young-hee, Man-bok, e la sorellina più piccola Jung-soon, e i loro genitori, e non ci vorrà un genio (il telefono non c'è, le scuse vengono accampate, a lavoro o a fare la spesa non si va) per capire che qualcosa in quella casa non quadra, anche se i dolci non mancano, e ci si ciba quasi solo di quelli.
Ma in quella casa Eun-soo dovrà starci per 5 giorni, uscire dalla foresta sembra impossibile, e i segni, gli indizi e il sentore che ci sia una realtà difficile da accettare che aleggia in Man-bok e le sue sorelle si fa sempre più forte.


Come detto, non c'è bisogno di sangue, non c'è bisogno di splatter, a fare davvero paura in Hansel & Gretel sono le ambientazioni, così perfette e infantili, e sono i bambini stessi, che seguono/compaiono/sostano tra corridoi e foresta. E' una certa atmosfera densa e gelida che si crea e si forma man mano che la visione prosegue.
Non c'è traccia di una favola della buonanotte, quello che si vede ricorda più un incubo, da cui lo stesso Eun-soo vorrebbe tanto svegliarsi.
I brividi si sentono, quindi, li ho sentiti, e mentre si cerca di costruire una verità, di capire le origini di questo male latente, si finisce però appesantiti da una parte finale decisamente pesante e pure un po' ripetitiva, nonostante i colpi di scena che annientano ogni speranza e lasciano più pietrificati che terrorizzati, perchè in fondo non c'è niente di spaventoso di quanto l'essere umano è capace di fare.
Resta una magia sinistra, quindi, resta un'estetica tanto perfetta quanto terrificante, che si insinua tra i corridoi della mente.


Proseguite questo giovedì da brividi con gli altri blog e gli altri k-horror:

"Whispering Corridors" (1998) su Non c’è paragone
"Whispering Corridors" (1998) su Pensieri Cannibali
“Sorum” (2001) su Mari’s Red Room
“Two Sisters” (2003) su White Russian
“Three...Extremes” (2004) su La Fabbrica dei Sogni
“The Host” (2006) su Recensioni Ribelli
“Thirst” (2009) sul Bollalmanacco di Cinema
“I Saw the Devil” (2010) su Delicatamente Perfido
“The Terror Live” (2013) su Cinquecento Film Insieme
“Mourning Grave” (2014) su Director’s Cult

29 aprile 2015

Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite al Cinema

I consigli sulle nuove uscite al cinema si spostano eccezionalmente al mercoledì.
Un po' perchè il film più importante, che è un documentario, è al cinema solo oggi (e ieri, ma ormai è tardi), un po' perchè la giornata di domani sarà tutta speciale qui nella blogosfera, vi lascio due indizi: k-horror e Obsidian.
In attesa di scoprire le carte, ecco le poche e non troppo esaltanti pellicole che arrivano in questo ponte lungo del 1° maggio, e che invitano a una bella gita fuori porta:

Cobain: Montage of Heck
Documentario realizzato da HBO, l'unico con l'approvazione della famiglia che va a raccontare la storia dell'idolo di molti: Kurt Cobain. Tra interviste, filmati inediti e pezzi dei suoi diari personali, si prospetta un'opera completa che anche i non fan dei Nirvana possono apprezzare.
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Child 44 - Il Bambino n. 44
Tom Hardy è sempre una bella visione, ma questa volta sembra essere incappato in un altro film sbagliato dopo il "vecchio" The Drop.
L'attore è infatti un uomo di legge sovietico chiamato ad investigare sull'uccisione di alcuni bambini in tempi di guerra. Fermate dall'alto le indagini, iniziano i sospetti.
Nel cast anche Noomi Rapace, Joel Kinnaman e Gary Oldman.
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Ritorno al Marigold Hotel
Vecchietti in viaggio in India. Marigold Hotel sembrava il film perfetto per me, ma mi ero ritrovata delusa da una sceneggiatura non all'altezza dei nomi coinvolti (Judi Dench, Maggie Smith, Bill Nighy, Dev Patel, che qui ritroviamo) e delle capacità da commedianti intelligenti degli inglesi.
Questo sequel non promette quindi niente di buono, con l'arrivo di americani in incognito.
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Le Streghe son tornate
La Spagna è terreno fertile per il buon cinema, e un suo esponente è Alex de la Iglesia, alle prese con un'altra storia forte che mescola horror, trash e commedia. Le streghe del titolo tenteranno infatti di rapire a José il figlio, dopo che pure lui lo ha rapito alla madre, portandoselo dietro in una rapina per la quale sta fuggendo assieme al complice e a due ostaggi in Francia.
Ottime immagini, a partire dal Trailer



Run All Night - Una Notte per Sopravvivere
Liam Neeson è entrato di diritto nella mia lista nera degli attori.
Difficile quindi convincermi a vedere questo ennesimo film tutto azione tutto vendetta, dove il "nostro" "eroe" se la deve vedere con i sensi di colpa del passato e con un figlio chiamato a fare i confronti sempre con le sue colpe.
Joel Kinnaman non azzecca un film, questa settimana.
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Basta Poco
Eccolo qui il film della settimana poco distruibuito e poco interessante.
I protagonisti sono una coppia di amici che decide di fondare un'agenzia che vende felicità, per arginare la depressione dilagante e arrivare a fine mese.
Bah.
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I 7 nani
Animazione made in Germany? Animazione che va a mescolare nuovamente le fiabe, come se non bastasse la Disney?
Genitori disperati, portateci i vostri figli ma non aspettatevi chissà che cosa.
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28 aprile 2015

1992

Quando i film si fanno ad episodi.

Qualcosa si sta muovendo in Italia.
Non tanto al cinema, dove ci vengono propinate in continuazione le solite commedie nostrane, con le solite facce che vogliono strappare risate neanche fossimo a Zelig o a Colorado.
Qualcosa si sta muovendo in Italia, nella TV italiana.
Non tanto in quella in chiaro, in cui fioccano le solite fiction biografiche o le solite soap opera di dubbio gusto, con le solite facce alla ricerca di un'espressione.
Qualcosa si sta muovendo in Italia, nella TV italiana, su Sky.
La TV a pagamento, quella satellitare ha capito prima di tutti che i prodotti su cui puntare sono quelli seriali, e siglando accordi oltreoceano per avere le puntate il giorno dopo la messa in onda americana in modo da combattere la pirateria, continuando questa marcia con la creazione di una canale apposito (Sky Atlantic) a quelle serie granitiche dedicato, ha finito per produrre una serie, e che serie, che nulla avrebbe da perdere nel confronto di quelle internazionali.
Gomorra è stata un fulmine a ciel sereno, diretto, fotografato, interpretato in modo ottimo.
Ora si va avanti, ora Sky ha deciso di mostrare dell'altro marcio del nostro Paese, andando indietro di 23 anni.


Poco è cambiato però dal 1992 ad oggi: politici corrotti, partiti nati sull'onda del populismo, tangenti e raggiri, inquirenti allo scandaglio e starlette che per emergere si concedono senza troppa remore al potente di turno.
Ma qualcosa sembrava cambiare in quell'anno, quando Antonio Di Pietro iniziò ad indagare, a fare i nomi, a tallonare quei potenti: Tangentopoli prendeva piede, mostrava lo sporco e lo ripuliva.
Nel frattempo, però, un nuovo sporco stava per emergere, quello dell'allora solo imprenditore Silvio Berlusconi, la cui aurea affascinava la Milano da bere, il cui successo si voleva esportare proprio nella politica.
Su questo scenario si muove 1992, partito #DaUnIdeaDiStefanoAccorsi e poi sviluppato al suo meglio, mescolando reale e fittizio, inventando personaggi come inserendone di veri.
Accorsi stesso è Leonardo Notte, pubblicitario dal piglio sicuro, dal passato di combattente, la cui anima sembra essersi venduta a Publitalia, le cui idee sono però vincenti.
Miriam Leone, sorprendente e bellissima, è Veronica Castello, escort (eufemismo) che vuole essere la nuova Lorella Cuccarini, incontrando nel suo percorso, nei letti da cui passa, più problemi del dovuto, fino ad approdare nell'apparente porto sicuro di Pietro Bosco, deputato della Lega capace di evolvere, stranamente.
Domenico Diele è il sensibile e vendicativo Luca Pastore, all'interno del pool di Di Pietro, pronto a scagliarsi contro l'imprenditore Mainaghi, facendo innamorare di sé la figlia Bibi, interpretata da quella biascicante Tea Falco che nel calcare i modi di fare dei viziati milanesi regala risate più che applausi.


Questo il cast principale di una serie corale, che passa da Milano a Roma, da Montecarlo alla Sardegna, facendo incrociare il destino di queste pedine, facendole crescere man mano che i mesi passano, che i fatti reali (dalle morti di Falcone e Borsellino al caso dell'Uranio impoverito) si succedono agli eventi cardine delle loro vite in quel 1992.
Ci si appassiona, quindi, pur non arrivando ad avere lo stesso stile gomorriano che faceva venire i brividi, qui si sente la carne, si sente il marcio, si sente una storia che non ha smesso di ripetersi.
Sky ha vinto nuovamente la sua scommessa, appassionando e inorgogliendo quel pubblico italiano che può anche imparare, che può vedere quali e quanti errori sono stati commessi.
In un solo anno, di 10 puntate, tanto si è raccontato, e ora non resta che aspettare i botti del 1993 per continuare questa avventura.


27 aprile 2015

Vikings - Stagione 3

Quando i film si fanno ad episodi.

Inghilterra e Francia.
Sembrano passati anni (e in effetti, a guardare quel Bjorn che non la smette di crescere) ne sono passati parecchi da quando nessuno credeva possibile attraversare le gelide acque del mare per approdare in terre straniere da depredare. Ma ora, i Vichinghi, sotto la guida del placido ma volitivo Ragnar, hanno esteso i loro orizzonti.
Inghilterra e Francia.
Queste le loro mira, questi i territori in cui non solo fare razzia di oro e argento, ma anche terre in cui ampliare i loro domini e le conoscenze, con il Wessex che si fa terra fertile, che grazie agli accordi con il meschino re Ecbert può essere coltivata, può fornire quel cibo che nelle fredde sponde di Kattegat non riesce a crescere.


Questa corposa terza stagione si divide quindi quasi nettamente in due parti, tra Inghilterra e Francia per l'appunto, lasciando indietro chi (Aslaug, Siggy e Helga) se ne sta nella terra natia, ad affrontare però un'avventura dal sentore divino, ospitando un misterioso straniero che affascina Aslaug ma anche noi, in scene cariche di poesia.
Seguire Ragnar, però, questo dà le vere soddisfazioni, spiare come lui la sua gente, mentre nelle battaglie dà tutto sé stesso, nelle feste, negli accampamenti, si aggira furtivo, stando defilato, cogliendo con quel suo sguardo di ghiaccio gli intrighi e i dubbi, vedendo la sanità mentale di Floki vacillare, vedendo l'amore di Bjorn offuscargli il giudizio.
Se in Inghilterra ci si trova di fronte a re e principesse non certo nobili, ma sanguinari e vendicativi anche con chi è dello stesso sangue, non meglio va in Francia, con l'ossessione per Parigi, la sua inespugnabilità, che Athelstan ha instillato in Ragnar.
La seconda parte si fa così molto più avvincente, con le battaglie e gli attacchi per superare quelle mura e quella difesa a farla da padrone, mentre dentro troviamo l'ennesimo Imperatore incapace, la solita principessa viziata ma che sa il fatto suo, e gli intrighi, immancabili, di corte.


Vikings si conferma essere una serie capace ancora di stupire, di passare da riempibuco a creare veri e propri idoli (Lagertha, un po' appannata, ne è un esempio), facendo di Travis Fimmel un attore da applausi, che con quei suoi sguardi, quei suoi movimenti, folgora.
L'amore sembra essere messo da parte, quello che interessa è la lotta, interiore ed esteriore, è una mente sempre all'opera che, come quell'indimenticabile Spartacus, fa dell'intelligenza, e non solo della forza bruta, la vera arma da temere.
Sporchi e passionali, questi vichinghi continuano ad appassionare, e le basi per un'altra stagione (la già confermata quarta) altrettanto grande ci sono tutte.


Biglietto, Prego! - Il Boxoffice del Weekend

La supremazia dei motori cede inevitabilmente il passo, rimpiazzata dai supereroi che agguantano un prevedibile primo posto e un incasso notevole, che risolleva mesi abbastanza fiacchi al boxoffice.
Sotto il milione tutti gli altri, compresa la bella Blake Lively che nonostante l'esordio non certo brillante in America, si difende bene. Moretti e Gassman tengono ancora banco nella prima parte della classifica, mentre i francesi su cui tanto si contava (vedi Samba, e il battage pubblicitario che sfrutta il successo di Quasi Amici) deludono.
Fuori, infine, due italiani che potevano fare di più: Veltroni e i suoi bambini, e Short Skin.


I dettagli:

1 Avengers: Age of Ultron
week-end € 7.100.000 (totale: 8.200.000)

2 Adaline - L'eterna giovinezza
week-end € 878.000 (totale: 878.000)

3 Mia madre
week-end € 726.000 (totale: 2.100.000)

4 Fast & Furious 7
week-end € 616.000 (totale: 17.900.000)

5 Se Dio Vuole
week-end € 574.000 (totale: 2.900.000)

6 Samba
week-end € 289.000 (totale: 289.000)

7 Black Sea
week-end € 276.000 (totale: 939.000)

8 Home - A Casa
week-end € 214.000 (totale: 2.800.000)

9 La famiglia Bélier
week-end € 131.000 (totale: 2.400.000)

10 Sarà il mio tipo?
week-end € 104.000 (totale: 104.000)

26 aprile 2015

Rumour Has It - Le News dal Mondo del Cinema


La Disney è sempre più scatenata, e avvia progetti a non finire.
Si delinea senza sosta il cast de La Bella e la Bestia che, va da sé, è composto da grandi star: Ewan McGregor sarà infatti il candelabro Lumiere, Stanley Tucci il pianoforte Cadenza e nientemeno che Ian McKellen come orologio Tockins, andandosi così a riunire con il regista Bill Condon che lo ha diretto da poco in Mr. Holmes.

Se per vedere l'amore travagliato tra Belle e la Bestia bisognerà aspettare il marzo 2017, chissà quanto si dovrà attendere un altro remake Disney: quello della fiaba di Jack e il Fagiolo Magico.
Se però già siete stanchi all'idea di vedere l'ennesima riproposizione, soprattutto dopo averla vista anche nel deludente Into the Woods, sappiate che a firmare la sceneggiatura e a produrre il tutto c'è un certo Vince Gilligan, l'ideatore della serie bomba Breaking Bad e del suo spin-off Better Call Saul. Assieme al fidato Thomas Schnauz alla scrittura, le trattative sono in corso, e si parla di una versione molto revisionista.

Per finire, anche Tom Cruise è finito nelle maglie Disney, e per cantare. Bob the Musical è infatti un musical dalla lunga ideazione, che potrebbe grazie a Cruise e alla regia del francese Michel Hazanavicius approdare finalmente in lavorazione.
La storia è di quelle intriganti, con un uomo stralunato che ha la capacità di sentire la canzone che risuona nel cuore delle persone. Certo, Cruise non sembra il più adatto al ruolo, vedremo cosa ne penserà mamma Disney.

Lo si era detto anche settimana scorsa: quando c'è una bella idea, fioccano le copie.
Ecco quindi che il rivedere assieme nomi come Steve Carell, Emma Stone e i registi Jonathan Dayton e Valerie Faris (quelli dei bellissimi Little Miss Sunshine e Ruby Sparks) più Danny Boyle come produttore intenti a far rivivere lo scontro tra sessi tra i tennisti Bobby Riggs e Billie Jean King, viene oscurato da ben altri due progetti basati sull'evento, che vedono il ruolo maschile occupato da Will Ferrell e Paul Giamatti.
Quello in questione, intitolato Battle of the Sexes, dovrebbe però essere il primo a vedere la luce, raccontando la partita che vide il giocatore ormai in declino e la giocatrice all'apice della carriera, scontrarsi più per gli sponsor che per gli spettatori.

Dall'Oscar al ritorno in TV, un passo indietro quello di J.K. Simmons?
Non sembra, visto che la serie del quale sarà protagonista si svilupperà in due stagioni e ha tutte le carte in regola per appassionare.
L'attore premiato per la sua ottima prova in Whiplash, sarà un semplice lavoratore all'interno di un'agenzia governativa che sta sorvegliando, a sua iniziale insaputa, un passaggio per passare in un universo parallelo. L'incontro con il suo doppio sarà inevitabile, così come il confronto con temi come l'identità, le scelte passate e l'amore.
A porre la firma dei primi due episodi di Counterpart, sarà un altro candidato alla statuetta, Morten Tyldum, il regista di The Imitation Game.

Kevin Spacey e Casa Bianca ed è subito House of Cards?
Non solo, perchè nel futuro dell'attore c'è un'altra serie che lo vede nel ruolo del produttore, e che vede soprattutto il dietro le quinte e i segreti del 1600 di Pennsylvania Avenue al centro della scena. Con la giornalista Megyn Kelly e Fox 21 Television Studios si sta infatti pensando all'adattamento del bestsellers di Kate Andersen Brower The Residence: Inside the Private World of the White House, soprannominato il Dowton Abbey americano, visto che mostra il punto di vista di camerieri, cuochi e altro personale, le bizzarrie e le fissazioni dei vari Presidenti.
Di materiale succoso ce n'è, ora non resta che trovare lo sceneggiatore.

Concludiamo la carrellata di news con uno sguardo a Cannes, che sta scaldando i motori in vista del festival che inizierà il 13 maggio.
Questa la giuria, che vede nomi di spicco al suo interno, ad affiancare Joel e Ethan Coen presidenti: Rossy de Palma, Sophie Marceau, Sienna Miller, Rokia Traoré, Guillermo del Toro, Xavier Dolan, Jake Gyllenhaal.

25 aprile 2015

Il Libraio di Belfast

E' già Ieri. -2011-

Ha dovuto pazientare John Clancy.
Ha dovuto aspettare che venissi a sapere della sua esistenza dai consigli del buon Caden, ha dovuto mettersi in coda, attendere senza fretta che arrivasse il suo momento, quello giusto.
Ed è arrivato, finalmente, nella serata della Giornata Mondiale del Libro, in cui dare finalmente visibilità a questo vecchio ma ancora arzillo, ancora pieno di vita libraio è stato d'obbligo.
Ed eccomi quindi davanti a una persona speciale, a uno di quei personaggi caratteristici dei piccoli paesi, quelli che ne racchiudono l'anima, oltre che la storia.
Un uomo buono, John, che ama e cura i suoi libri, che li tratta come fossero dei bambini, aggiustandoli, accarezzandoli, leggendoli e rintracciandoli. Perchè ormai in pensione, John non rinuncia a cercare prime edizioni, testi introvabili, non si dimentica di clienti le cui richieste devono ancora essere esaudite.


In questo piccolo documentario che documentario non è, lo seguiamo nelle sue giornate, divise tra nuove esperienze, concerti a cui assistere, cambi di materasso da fare e il passato che emerge, l'alcolismo che lo ha accompagnato per 15 anni, i racconti di una vita vissuta tra i libri di Belfast, una città che città non è, vista dal basso, vista nel suo piccolo.
Attorno a John allora ruotano tre giovani, una nuova generazione con i suoi sogni e le sue speranze: il rapper che mette in rima la sua vita, la cameriera che vuole arrivare ad X-factor, e il più sensibile dei tre, all'apparenza un duro dalla cresta issata, in realtà un dislessico che non riesce a leggere ma che ama l'Italia e la nostra musica classica.
Insieme, all'interno di un'arca speciale, al riparo dai problemi e dalla pioggia.


La regista Alessandra Celesia ci mostra così tanti piccoli tranche de vie di questi quattro personaggi, seguendoli e spiandoli anche nei momenti più intimi, dal parrucchiere o in fase di riflessione.
Ne esce un ritratto sincero e pieno di vita, ne esce un mondo in piccolo, un microcosmo con vicini che si aiutano tra loro, con John che si fa portatore di speranza, di buoni sentimenti nei racconti di una vita vissuta più che a vendere, a regalare libri, convinto, giustamente, che quello che dai ti torna sempre indietro.
La macchina da presa è vicina a lui, a loro, in primi piani che trasmettono tranquillità, che fanno sorgere un sorriso spontaneo difficile da cancellare.
Ha dovuto pazientare John Clancy, ma ne è valsa la pena.
E nella Giornata Mondiale del Libro, ha trovato un posto tutto suo nel mio cuore.


24 aprile 2015

White Bird in a Blizzard

E' già Ieri. -2014-

Shailene Woodley a me non piace.
Oh, l'ho detto.
E' una di quelle attrici che non mi dicevano niente, brave sì (vedi Paradiso Amaro), ma non capace di restarmi impressa, con quella faccia un po' così di americana media, con quel naso che sembra sempre darle una smorfia snob.
Il fatto che ora sia assurta come nuova Jennifer Lawrence, me l'ha resa ancora più antipatica, perchè sì, pure Jennifer Lawrence tanto brava e tanto bella, mi ha un po' stancato, con quella sua spontaneità che inizia a puzzarmi di finto.
Dite che con questa premessa mi sono inimicata per sempre il Cannibale?
Probabile.
Ma, aspettate, e aspetta Cannibal Kid, perchè grazie a Gregg Araki in parte sono riuscita a ricredermi.
Mostrandosi tranquillamente come mamma l'ha fatta, mostrandosi come una teenager annoiata che analizza ma solo in superficie il rapporto dei suoi genitori in quello che sembra un dramma adolescenziale che sfocia poi nel thriller, Shailene è riuscita a fare breccia nel mio cuore, pur non trovando abbastanza spazio per farmi venir voglia di recuperare quella sicura valle di lacrime che è Colpa delle stelle o quella che per un'ottusa e piena di pregiudizi come la sottoscritta rimarrà una brutta copia di Hunger Games come Divergent.


Per merito di un regista dedito allo scandalo (a cui non perdonerò le notti perse per Mysterious Skin), per merito di una storia ben mostrata ma soprattutto ben narrata, l'attrice si ritaglia un ruolo capace finalmente di restare impresso.
Kat è infatti un'adolescente parzialmente ribelle, figlia di un padre sotto tutti i punti di vista zerbino e sottomesso agli umori di una moglie rinchiusa nella vita della perfetta casalinga che, vedendo la figlia crescere e diventare un gran bel pezzo di ragazza, inizia ad esserne gelosa, ad invidiarla e, va da sé, ad odiarla.
All'improvviso, come nulla fosse, senza lasciare tracce, questa madre scompare.
Oppressa dalla sua vita, fuggita per vivere davvero ed essere felice, è l'ovvia conclusione di Kat, che non se ne fa troppi problemi, seducendo il poliziotto chiamato a investigare sul caso visto che il suo fidanzato, vicino di casa, una volta sparita Eve sembra allontanarla.
Tutto allora procede senza troppi traumi, con il passato che emerge raccontato da Kat stessa, per poi passare al futuro, per andare avanti di due anni, quando di Eve non c'è ancora nessun segno, quando Kat ha iniziato il college, frequentando nuovi amici, quando è pronta per le vacanze di metà anno a tornare a casa.
Troverà i vecchi amici, troverà quello che ormai sembra l'ex ragazzo, troverà il padre con una nuova compagna e finalmente troverà anche la verità.


Senza veli o in mise fine anni '80 Shailene buca lo schermo, dimostrando naturalezza e padronanza di sé anche nel ruolo di voice over.
Non riesce comunque ad offuscare la sempre strepitosa Eva Green, con quei suoi sguardi folli e pieni d'odio, con la sua bellezza che si tenta di sfare, quasi inutilmente però.
Il dramma che Araki racconta è distante da quelli a tinta erotica del suo passato, è più maturo e complesso, parlando di sesso, della sua scoperta, ma soffermandosi più sull'intimo, narrato com'è indietro, avanti nel tempo, con intermezzi onirici che sottolineano ancor più la cura estetica dedicata al confezionamento del tutto, fatto di inquadrature fisse e geometriche che si alternano.
Ciliegina sulla torta è una colonna sonora da intenditori, e molto 80's che passa dai New Order ai Depeche Mode.
Presa alla gola e alla testa da questo dramma, da questo giallo, da questo thriller in cui ci si immerge senza problemi, Shailene c'è riuscita: mi ha convinto, mi è piaciuta.


23 aprile 2015

Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite al Cinema

E' e sarà il fine settimana degli Avengers quello al cinema.
Ma fortunatamente, c'è anche dell'altro, nel bene e nel male perchè tra le tante, troppe nuove proposte, spiccano film che potrebbero rivelarsi un'ottima visione e altri che è meglio escludere a priori.
Quali? Basta leggere i consigli che seguono:

Avengers: Age of Ultron
Forti del successo precedente, gli Avengers tornano al cinema con una nuova avventura pronti a dare una botta di vita al boxoffice.
Ovviamente, per appassionati di cinecomics.
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Adaline - L'eterna Giovinezza
Ce la farà Blake Lively a sfondare al cinema? Cerca di farlo sfoggiando tutta la sua bellezza che si fa eterna, in un passaggio di anni e di epoche, e quindi di amori.
Il pubblico femminile è avvertito: portate i fazzoletti.
Trailer
Samba
Mettere nel trailer "dai registi di Quasi Amici" è un'ottima promozione marketing per il film, incentrato su una storia d'amore impossibile tra un immigrato clandestino e una volontaria pronta ad aiutarlo.
Il buonismo sembra però dietro l'angolo, anche se il cast formato da Omar Sy e Charlotte Gainsbourg fa da ulteriore garanzia.
Trailer


Short Skin
Commedia italiana ma dal piglio giovane e fresco che può quindi interessare.
Anche perchè i problemi del diciassettenne Edoardo non sono così comuni, tra il sesso, l'amore e la famiglia in stile indie.
E diamogli una possibilità.
Trailer




Sarà il mio tipo?
Gli opposti che si attraggano: lui professore di filosofia decisamente acculturato, lei parrucchiera di paese dedita ai romanzi rosa e alle uscite in libertà.
L'amore unirà queste loro differenze? Il made in France è la garanzia per una commedia romantica ma non scontata.
Trailer
Road 47
La guerra vista dai brasiliani, arrivati in Italia per salvare un Paese non loro, e ritrovatisi spaventati nell'inverno toscano, allo sbaraglio e alla deriva.
Coproduzione datata 2013, che passerà in poche sale senza troppi dispiaceri.
Trailer

Le Frise Ignoranti
Eccola la commedia di cui non si sentiva il bisogno con un cast corale che si muove nella Puglia più di cliché scopiazzando quanto fatto in Basilicata.
Anche no.
Trailer



In The Box
Un thriller made in Italy?
Sì, e non così originale e non così ben realizzato. Ma di certo il perchè e il come la protagonista è stata rinchiusa in un auto all'interno di uno stretto garage, stuzzicherà gli amanti del genere.
Trailer





I Bambini Sanno
Operazione buonista quella di Walter Veltroni?
Forse, ma nelle sue interviste a 39 bambini italiani, c'è anche tanta verità che può farci aprire gli occhi e commuovere.
Citazioni cinematografiche comprese.
Trailer



Squola di Babele
Dall'Italia si passa alla Francia, con il ritratto di un gruppo di ragazzi emigrati impegnati a imparare la lingua e integrarsi, ma soprattutto a dimenticare gli orrori dai quali sono fuggiti.
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Il Figlio di Hamas
Doppi giochi e redenzione, spionaggio e verità tra Palestina e Israele. Tratto dal best seller omonimo, una visione impegnata per un documentario dal sapore thriller.
Trailer

22 aprile 2015

Mia Madre

Andiamo al Cinema

Una lacrima ci fregherà, si era detto.
Ma questo sembra valere più per i francesi che non per Nanni Moretti, che sì, ci commuove e ci fa piangere, ma non ci frega.
Perchè nel suo ultimo film, a tratti autobiografico (anche se non dichiarato), dispone le cose in modo da creare e rompere l'empatia con i suoi personaggi, e perchè alcune di queste cose non tornano.
Margherita Buy -impegnata a mettere da parte l'ansia che arriva ed esplode comunque in più scene che la rinchiudono ancora una volta in questa sfera emotiva- è chiamata a fare il verso a Moretti stesso, diventandone un alter ego al femminile che dirige ma non vorrebbe dirigere, che pensa a voce alta, che si perde nei suoi pensieri, che scoppia gridando l'amara verità in faccia a tutti.
Il montaggio, però, è in alcuni punti confuso, alternando sogni ad occhi aperti, sogni che si fanno incubi, fantasie e quella realtà che non si vuole affrontare, divisa tra un set in cui tutto sembra andare per il verso sbagliato, e quella stanza d'ospedale in cui la verità è difficile da accettare e affrontare.


Margherita si trova così a dover confrontarsi con un lutto che sta per arrivare, vedendo spegnersi quella madre piena di vita davanti ai suoi occhi, mentre a lavoro, durante le riprese, le biffe del gran attore americano (decaduto) rallentano i tempi, mordono la sua pazienza già di per sé fragile.
Ed è questo secondo piano, quello lavorativo, quello che funziona di più, mostrandoci i dietro alle quinte con ogni probabilità accaduti, mostrandoci i compromessi, le esigenze e le richieste di un regista, con i suoi scatti d'ira e di dubbi che vanno a riversarsi sui collaboratori, con i giornalisti pronti ad interpretare tutto a loro modo, con domande e riflessioni che vanno a toccare, ça va sans dire, il cinema stesso di Moretti.
E' una dichiarazioni di intenti la sua, un piccolo manifesto su cosa e come è il cinema.
Poi però c'è la parte emotiva, quella famigliare a fare da contraltare, e qui le cose si perdono.
Non tanto per come il tema della morte viene affrontato, quanto per come ci viene mostrato, in modo confuso attraverso stacchi onirici, attraverso una recitazione che si fa forzata e poco naturale, cosa che da sempre contraddistingue lo stesso Moretti, che qui si ritaglia il ruolo laterale del fratello di Margherita, altrettanto stanco ma più aderente al reale.


Il risultato è così squilibrato, passando per una gag di un John Turturro incontenibile all'aggravarsi delle condizioni di Ada, passando per i dubbi su come girare una scena in auto al decidere se informare o meno la persona interessata delle sue vere e attuali condizioni, l'equilibrio si fa instabile.
Ci si perde un po', un po' troppo, tra le strade di Roma che Margherita e i suoi grandi occhi blu percorrono, ci si perde nelle sue fantasie, nei suoi ricordi, messi in modo confuso all'interno di una trama che perde così la sua linearità, senza scalfire.
Il buco peggiore arriva nel finale, lì dove quelle lacrime ci stavano fregando, con l'ennesimo ricordo, con l'ennesimo passo indietro che chiama quelle lacrime, chiama pure un sorriso tra queste, finendo per essere una ruffianeria evitabile.
Quello che resta è comunque un film NanniMoretti DOC, più intimista e meno politico, caratterizzato da interpretazioni (Giulia Lazzarini su tutti) comunque in parte, e da delle musiche ancora una volta da brividi e molto, molto chic.
Gli scivoloni ci sono, purtroppo, e o si vedono, o quelle lacrime hanno già offuscato la vista, fregandoci.


21 aprile 2015

P'tit Quinquin

Quando i film si fanno ad episodi.

Due cruenti omicidi per iniziare.
Un piccolo paese sconvolto dall'accaduto.
I segreti e i tradimenti scoperchiati dalle indagini.
Bambini curiosi e coinvolti in quanto accade.
Una coppia di ispettori chiamati a investigare.
Sembra la più classica trama di una serie crime, con tanto di ispettori decisamente particolari che rubano la scena al caso, proprio come succede in un The Killing o in un Broadchurch.
Qui però c'è la firma di Bruno Dumont a fare la differenza, un autore che sa lasciare il segno (pur premettendo che da queste parti nessuna sua opera precedente è passata sotto visione), che ha avuto dal canale francese Arte carta bianca per il progetto, permettendosi l'uso di attori non professionisti, a cui han seguito la presentazione in quel di Cannes, il passaggio a Torino e il successivo (e provocatorio) numero uno nella classifica di fine anno dei Cahiers du Cinema sui migliori film dell'anno 2014.


Gli ingredienti di una serie crime vengono stravolti prima di tutto perchè la stessa indagine passa in secondo piano.
Mentre i cadaveri, i corpi ritrovati si accumulano e aumenta il grado di efferatezza (due infatti le vittime ritrovate all'interno di mucche, una divorata dai maiali, un'altra messa in posa come un quadro di Rubens), Van der Weyden e Carpentier non sembrano preoccuparsi troppo di cercare il colpevole, con il secondo che probabilmente si avvicina alla verità, lasciando andare i sospetti, soffermandosi ad analisi e riflessioni fuori luogo, girovagando per le strade di Boulunnais senza sosta.
Ad incrociare il loro percorso più e più volte è il piccolo Quinquin, che assieme alla giovane fidanzatina Eve e ai suoi amici si lasciano andare a bravate degne di quell'età, facendosi sguardo neanche troppo innocente di quanto accade.


Quello che davvero intriga della serie, quello che è il suo marchio definitivo, è il carattere di commedia non-sense, surreale, e di fatto tragicomica, fatta di personaggi strampalati, di difficile identificazione, di un'ironia dissacrante che ha il suo vertice in un funerale fuori dal comune ma che prosegue in situazioni e in richiami folli che strappano sorrisi laddove sarebbero più impensabili.
Il ritmo che procede veloce e suggestivo nei primi due episodi, cala un po' in un finale che resta irrisolto, quando però alcuni personaggi e le loro ossessioni sono venuti un po' a noia, su tutti Van der Weyden che con i suoi tic esagerati si fa esempio del troppo che stroppia.
Le immagini che diventano subito iconiche, la particolarità fisica ed espressiva di questi protagonisti alle prime armi che bucano lo schermo, fanno però di P'tit Quinquin uno di quei prodotti di classe, magari un po' elitari nel loro non voler essere elitari, e che colpisce l'immaginario di tutti, innegabilmente.
Definirlo miglior film, o miglior serie dello scorso anno è, però, un po' eccessivo, anche per dei patriottici come i francesi.


20 aprile 2015

Episodes - Stagione 4

Quando i film si fanno ad episodi.

Una serie che funziona, molto spesso, ha bisogno solo di personaggi che funzionano.
Un discorso valido soprattutto per le comedy, dove la trama è spesso sacrificata a cliché, dove in 20 minuti si devono condensare i fatti e dove sono proprio i personaggi, i protagonisti, a fare la differenza.
Episodes era iniziato basandosi sullo scontro con una cultura e un mondo televisivo diverso da quello che i due sceneggiatori Bev e Sean erano abituati nella loro semplice Inghilterra: lunghe stagioni, copioni manipolati e modificati dai produttori, star ricche sfondate e dall'ego abnorme, e gli ascolti a decretare la sorte del loro prodotto.
Tutto questo ha tenuto banco in modo perfetto per le prime tre stagioni, con Punks! che veniva di volta in volta snaturato o arricchito, ma destinato inevitabilmente alla cancellazione.


Ora che questa è stata resa definitiva, seppur con un salvataggio (se così si può definire) in extremis, Episodes va avanti, concentrandosi su quello che alla fin fine davvero interessa e davvero funziona: i suoi personaggi, i suoi protagonisti.
Ecco quindi che i riflettori sono ancor più puntati su Matt LeBlanc e sulla sua vita dispendiosa e con un senso personale della morale, ecco che Bev e Sean rientrata la crisi si lasciano sedurre da una nuova possibilità, ed ecco che questa nuova possibilità chiama in scena Carol e la sua nuova capa, mentre Merc cerca di tornare in carreggiata.
Ritrovarli è quindi un piacere, anche perchè cambiato parzialmente lo scenario, non cambia l'affiatamento ormai solido di questi personaggi, con battute e un senso dell'umorismo capace sempre di fare centro.
Si ride parecchio, infatti, e non ci si stanca di quel Joey mai cresciuto e delle sue trovate, che snocciola perle di (non)saggezza, anche se a rubargli la scena è spesso e volentieri l'impacciata Carol, che finisce nuovamente a letto col capo, e poco importa se è una donna.
Grazie a tutto questo, siamo pronti anche noi a salutare quel disastro che è stato Punks! accogliendo un The Opposite of Us che rischia di fare la sua stessa fine, dando però a Episodes nuova linfa da succhiare, sperando che gli sceneggiatori sappiano non ripetersi, continuando a stupirci e divertirci.


Biglietto, Prego! - Il Boxoffice del Weekend

Tamarri e motori continuano a sembrare imbattibili, e le nuove uscite più d'essai che da multisala non scalfiscono il primato di Vin Diesel e soci, che mantengono stabili il primo posto. Nanni Moretti riesce comunque ad agguantare un rispettoso secondo posto, mentre Jude Law da cui ci si aspettava qualcosa di più (visto anche il tam tam pubblicitario), si ferma fuori dal podio ma con un incasso piuttosto sconfortante.
Seguono a ruota film per famiglie, porti sicuri per il maltempo, mentre restano fuori i Fighters francesi e la verità su e di Edward Snowden.


I dettagli:

1 Fast & Furious 7
week-end € 1.467.897 (totale: 16.917.900)

2 Mia madre
week-end € 1.110.769 (totale: 1.110.769)

3 Se Dio Vuole
week-end € 884.228 (totale: 2.194.521)

4 Black Sea
week-end € 535.390 (totale: 535.390)

5 Humandroid
week-end € 350.807 (totale: 985.586)

6 Home - A Casa
week-end € 239.523 (totale: 2.600.114)

7 Into the Woods
week-end € 216.893 (totale: 1.973.887)

8 La famiglia Bélier
week-end € 212.088 (totale: 2.294.622)

9 Le vacanze del piccolo Nicolas
week-end € 188.796 (totale: 188.796)

10 L'ultimo lupo
week-end € 154.648 (totale: 2.977.063)

19 aprile 2015

Rumour Has It - Le News dal Mondo del Cinema


Non c'è uno senza due.
Quando ad Hollywood si inizia a parlare di un progetto interessante, spunta subito un suo gemello, così, tanto per non far troppa fatica.
Se il biopic su Enzo Ferrari con Robert De Niro è al momento ancora senza regista, si fa avanti da un'altra parte Michael Mann, da sempre interessato al pilota e costruttore, ma non per dirigere la produzione già avviata, quanto per fare un film tutto suo.
Ben due gli script che il regista si trova a valutare, perchè le idee (anche se non buone) non vengono mai sole.

Continua la collaborazione tra Sam Claflin e la regista Lone Scherfig dopo il non troppo entusiasmante Posh. I due assieme a Gemma Arterton e Billy Nighy racconteranno la storia di una troupe cinematografica che negli anni della II Guerra Mondiale iniziò a produrre un film per sollevare il morale delle truppe. Lo stile è quello nuovo per la regista della commedia irriverente, Their Finest Hour and a Half sarà così una prima volta da valutare.

Dopo la nomination agli Oscar per Foxcatcher la carriera di Steve Carell continua a volare in alto. Nel suo futuro c'è infatti il regista Robert Zemeckins per la realizzazione di un film tratto dal documentario del 2010 Marwencol, di Jeff Malmberg. La storia è di quelle appassionati: un uomo dopo una brutale violenza, perde la memoria. Per cercare di fargliela recuperare, si costruirà un villaggio di bambole in cui poter fargli rivivere il trauma subito, per superarlo.
La sceneggiatura è nelle mani di Caroline Thompson (Edward Mani di Forbice).

Anche l'ascesa di Chris Pratt sembra inarrestabile. In attesa di vederlo tra dinosauri e avventura in Jurassic World, l'attore vestirà i panni di Bill McCoy, contrabbandiere di alcool ai tempi del proibizionismo che, non affiancato alla mafia, riuscì sempre a passarla liscia. Sarà anche perchè dichiaratamente astemio.
The Real McCoy ha come sceneggiatore Bill Dubuque (The Judge).

Il nome di Ryan Gosling torna finalmente ad essere sulla bocca di tutti. Dopo mesi di silenzio, l'attore si prepara ad essere valutato anche come regista, mentre sembra quasi certa la sua presenza nel sequel attesissimo di Blade Runner. Non è ancora chiaro quale ruolo andrà a coprire sotto la regia di Denis Villeneuve, ma è certo che affiancare Harrison Ford è un colpaccio.

Concludiamo le news con il nuovo progetto che vede il lanciato Miles Teller come protagonista.
Jonathan Levine non si discosta dal tema del cancro (già affrontato in 50 e 50) e in Home is Burning ci dà dentro includendo una madre malata da sempre e un padre che scopre di avere la sclerosi. Inevitabile il ritorno a casa del figlio maggiore dall'università, che assieme ai fratelli darà vita al Terminal Team.
Si prospetta quindi uno stile disteso e da commedia, che non disdegnerà il politicamente scorretto come le inevitabili lacrime.
Da segnare.

18 aprile 2015

Citizenfour

Andiamo al Cinema

Premessa #1
Lo ammetto con un po' di difficoltà: non sono così informata su ciò che mi accade attorno.
Non leggo i quotidiani, non guardo i telegiornali né le trasmissioni di approfondimento, mi concedo una mattinata a radiogiornali (si chiamano ancora così? O fa tanto Istituto Luce?) che porta tutto il buonumore che le notizie di politica interna e estera, e di cronaca possono dare.
Insomma, mi basta e avanza per affrontare senza troppe remore la mia giornata.
Premessa #2
Fin da piccola sono stata convinta che qualcuno spiasse le mie telefonate, crescendo mi chiedevo quale divertimento poteva esserci nel sentire tutte quelle lunghe e insensate chiamate che facevo con le mie amiche, per poi passare -grazie Truman Show- a una paranoia più grande, che comprendeva le ricerche del computer, i movimenti del mio bancomat, il tutto senza però panico e paura, ma con la consapevolezza che gli hacker di oggi posso fare questo e quant'altro senza chissà quale sforzo.
Non a caso, sopra lo schermo da cui sto scrivendo, sopra la webcam che dovrebbe inquadrarmi, campeggia un bel cerotto a far da barriera: Nolan Ross insegna, e io, nelle mie fasi di blocco creativo e di risate compulsive davanti ai video di youtube, non voglio farmi vedere.


Questa lunga premessa serve per farvi capire come ho affrontato il documentario riguardante Edward Snowden.
Un nome che, anche con il mio basso grado di informazione, ho imparato a conoscere bene, un nome che ha scoperchiato una verità che presentivo da sempre, facendo però tremare tanto i potenti quanto un popolo che si fidava ciecamente di chi li governava, che invece non si fidava di loro, spiandoli e rintracciandoli con pochi click.
Il documentario di Laura Poitras mostra però molto di più di quanto si conosceva, mostra Edward Snowden stesso prima di essere travolto dalla curiosità giornalista, ripercorrendo tutte le tappe che hanno portato la Poitras stessa, assieme ai giornalisti del Guardian Glenn Greenwald e William Binney a raccontare le storie, a raccontare lo scandalo.
Il percorso che ha portato agli articoli e alla conseguenza fuga di Snowden fino a Mosca, viene ricostruito, o meglio mostrato, dalla telecamera che la Poitras si è portata appresso.
L'inizio è degno di un romanzo giallo, con email criptate firmate con lo pseudonimo Citizen Four, incontri e linguaggio in codice che ha portato i quattro a conoscersi nel Mira Hotel di Hong Kong, dove, chiusi per 8 giorni, si sono confrontati, ascoltando le lunghe confessioni e rivelazioni di Snowden.
Quello che ne esce è sì una verità amara, ma ancor più emerge la figura di un giovane che a 29 anni si ribella, consapevole di cosa questa ribellione comporterà ma non per questo disposto a fermarsi o a mettersi da parte.
Anzi, chiaro e lucido, il suo progetto prevede di far parlare di tutte le libertà che il governo americano, che l'NSA, reprime, con droni a sorvegliare la popolazione, e controllo di metadati capaci di ispezionare tutto il passato come il futuro di un singolo individuo non per forza ritenuto un sospetto. Il suo nome può aspettare ad essere rivelato, non è quello ad essere importante, anche perchè consapevole che quando questo verrà fuori, al centro dell'attenzione ci sarà lui, non più quanto ha rivelato.
Il ritratto che ne esce non è quindi quello di un martire, ma di un pragmatico paladino della libertà che ha bisogno di sfogarsi e di dire la verità, con paranoie quanto mai accettabili al seguito.


Per quanto queste paranoie, condite da allarmi sospetti, dalla consapevolezza di poter essere spiato e rintracciato senza troppi problemi diano al documentario un alone di thriller con cui giocare, il resto è subissato da una seriosità e da un linguaggio particolarmente tecnico che non aiuta il ritmo della visione a decollare, con l'attenzione che cala inevitabilmente e fatica a stare dietro a tutte le rivelazioni, le spiegazioni che Snowden dà.
Uscito più di un anno dopo che i telegiornali e i giornali di tutto il mondo riportavano i fatti, è chiaro che l'intento della regista sia quello di mostrare quanto effettivamente successo e di far conoscere meglio non solo quanto rivelato, ma il fautore di queste rivelazioni, come un omaggio, come un ritratto doveroso per un uomo coraggioso.
L'Oscar vinto a dispetto di documentari più curati a livello tecnico e più appassionanti a livello di contenuti (Il Sale della Terra e Finding Vivian Maier), sembra quindi una richiesta di perdono e un grazie da parte dell'Academy per quanto sacrificato.
Nonostante questo, resta un documentario di stampo classico e giornalistico, chiaramente informativo.
Sta ad ognuno, poi, vedere queste caratteristiche come pregi o come difetti.



17 aprile 2015

La Famiglia Bélier

Andiamo al Cinema

Una lacrima ci fregherà.
E' sempre così, puoi vedere il film più anonimo, puoi vedere il film più noioso, ma se nel suo finale riesce a smuoverti qualcosa dentro, basta, sei fregato: uscirai dalla sala sollevato o malinconico quanto basta per essere convinto e per salvare quanto visto.
D'altronde, gli sceneggiatori questo trucchetto lo sanno bene, chiamali stupidi.
Non fatevi ingannare da questa introduzione, però, perchè La Famiglia Bélier non è un film né anonimo né noioso, anzi, campione d'incassi in patria è arrivato da noi forte di critiche positive e di un tam tam che sicuramente quelle lacrime sul finale hanno aiutato a farlo rimanere nella classifica del boxoffice per un mese buono.
La Famiglia Bélier è però un film che ha i suoi difetti, proprio a livello di sceneggiatura -tra l'altro- che si risollevano e vengono facilmente dimenticati con quel finale, non buonista, non del tutto giusto, ma molto molto commovente ed efficace.


A salvare il film basterebbe comunque il suo soggetto: una famiglia speciale e folle composta da un padre contadino grezzo e schietto, una madre ex reginetta di bellezza, un figlio minore in preda agli ormoni adolescenziali e una figlia in piena adolescenza tra cotte e problemi femminili.
La specialità sta nel fatto che solo quest'ultima è capace di parlare e di sentire, gli altri sono invece sordomuti, che comunicano con lei con il linguaggio dei segni, e con il mondo proprio tramite lei, Paula.
Sulle sue giovani spalle stanno quindi sia gli affari della loro fattoria e del commercio del formaggio, sia quelle più dirette come la scuola dove, vedi tu il destino, scoprirà di avere letteralmente una voce da far sentire, una voce da soprano incredibile che l'insegnante di coro vuole far emergere, istruire, per farla approdare alle scuola di canto Radio France a Parigi.
Si apre inevitabilmente una lotta interiore: partire per un destino tutto nuovo allontanandosi da una famiglia che non sempre la capisce ma che ha bisogno di lei, o restare, proprio per aiutarli e sostenerli?
E se di mezzo ci si mette l'amore travagliato per il compagno di coro Gabriel?
E se quei genitori tanto buoni quanto folli si trovano doppiamente feriti dall'idea di essere abbandonati e dal fatto di non poter capire, non poter letteralmente sentire, le capacità di loro figlia?


Messa così, la trama è di quelle intriganti anche perchè in mano ai francesi si sa che non ci sarà troppo spazio per il buonismo, ma le battute politically scorrect (sugli handicap come sulle questioni razziali, per non parlare del sesso) fioccheranno, impreziosendo il tutto con un cast affiatato e divertente.
Peccato però che attorno a questa storia ridotta all'osso vengano percorsi più e più rivoli: dall'amica facile al fratello che se ne infatua, dal passato di un professore che lo rende acido innamorato poi della preside, dalla discesa in politica del padre con tanto di dibattiti e interviste presto messe da parte, a compagne di scuola mean girl e dissidi paterni del ragazzo ricco di turno.
Insomma, sarà anche che queste storyline non vengono approfondite, servendo come accessori, ma mettono non poca confusione al tutto, non aiutate da personaggi macchietta e da un montaggio che va di sequenza in sequenza, lasciando però ampio spazio ai momenti musicali, veri brividi.
Ed è qui che La Famiglia Bélier ti frega, con quella voce potente che Louane Emera si ritrova, con le canzoni che il genio incompreso del maestro Thomasson le fa cantare (tutte di Michel Sardou).
E allora, dal duetto in coppia con Gabriel, al canto al buio a fior di vibrazioni fino all'ultima esibizione da pelle d'oca, le lacrime arrivano a scendere copiose, con il pubblico che si ritrova a tirar su con il naso, a cercare in borsa dei fazzoletti (chiedete anche al giovine), ritrovandosi a luci accese con gli occhi gonfi e lucidi, e il mascara un po' sbavato, uscendo dalla sala con il cuore pieno di emozioni, e con un film a cui si ha perdonato tutto, pronti ora a consigliarlo.