3 agosto 2015

Harvey Krumpet

La vita, i problemi, i miracoli di Harvey Krumpet.
Nato nel 1922 nella povera Polonia, da una madre affetta da schizofrenia e da un padre boscaiolo, Harvey fin da subito si è fatto notare per strane particolarità: il bisogno di toccare ogni cosa a lui vicina, di toccare il naso alle persone che conosceva, piccoli tic.
Ha la Sindrome di Tourette, che lo porta ad essere uno degli emarginati nella scuola, bersaglio assieme al suo unico amico -pure lui mentalmente minorato- dei bulli.
Ritirato dalla scuola, verrà educato da quella madre che basa la sua cultura sui fatti (o fakts): l'occhio di uno struzzo è più grande del suo cervello, le farfalle annusano con i piedi, e così via... con fatti su fatti da annotare nell'inseparabile quaderno che Harvey si porta appeso al collo.
La sua vita cambia quando quei genitori da lui tanto amati muoiono, vittime di un incendio ma più propriamente di assideramento, lasciandolo solo in una Polonia che presto verrà invasa dai tedeschi.
Harvey se ne va, fugge con altri immigrati alla ricerca di fortuna in Australia, trovando lavori saltuari, isolandosi, subendo ogni tipo di problema (licenziamenti, sfondamento del cranio, fulmini che lo colpiscono, cancro), con annesse operazioni.
Proprio in ospedale la sua vita cambia: conosce Val, infermiera dalle forme abbondanti, che sposerà e con cui adotterà una figlia disabile che cresceranno con amore, educandola ai fatti inequivocabili della vita.
Mentre il tempo scorre, gli anni passano, quella figlia cresce e vola negli Stati Uniti a difendere chi è come lei, e la sfortuna non abbandona Harvey, che perde una moglie, perde la lucidità, perde anche la memoria, finendo così in un ospizio dove è difficile dare sfogo alla sua natura più impulsiva, dove forse, ripensando a quanto la vita gli ha finora offerto ma soprattutto tolto, farla finita diventa un pensiero naturale.


Adam Elliot deve avere una predilezione per le storie sfortunate, una fascinazione verso il pessimismo, verso le sfortune altrui.
Prima di approdare nel lungometraggio con Mary and Max, che insieme formavano già un bel compendio di disavventure capaci di portare alla depressione, aveva vinto l'Oscar nel 2004 con quest'altra, piccola storia.
Sempre in stop-motion, sempre con una voce narrante autorevole (quella di Geoffrey Rush), sempre con un disadattato a cui la vita offre ostacoli spesso insuperabili da abbattere.
La poesia è la stessa, anche se in formato ridotto: 22 minuti in cui vediamo crescere, cambiare, sfiorare la felicità questo Harvey.
Ma la forza di Elliot, la sua bravura, e quello che davvero colpisce nei suoi prodotti come in Harvey stesso, sono quei finali pieni di speranza, quei sorrisi che affiorano lì dove sarebbe impossibile scorgerli, viste le tribolazioni, visto un passato così nero.
Nelle storie che racconta, nei fatti che abbondano qui come nel suo film, c'è la mano di chi crede che ci possa sempre essere un lato positivo, che la medaglia, ha sempre due facce che si possono raccontare e scoprire.


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