7 settembre 2016

Venezia 73 - Jackie


Da una parte il racconto di un'icona, di una figura storica nel momento storico che più la definisce, uno di quei momenti tra i più raccontati nella storia del cinema: l'omicidio di John Fitzgerald Kennedy, ma visto finalmente con i suoi occhi, nei 4 giorni che seguirono l'attentato a Dallas e portarono ai regali funerali presidenziali.
Dall'altra, un regista discusso e difficile, che esce dal suo Cile per abbracciare non solo una grande produzione americana (Aronofsky è fra i produttori), ma anche una delle icone americane per antonomasia: Jacqueline Lee Bouvier Kennedy Onassis, detta semplicemente Jackie.
Prima della visione, veniva da chiedersi cosa ne sarebbe uscito, da un racconto che non si aveva così voglia di sentire ancora, da quella che sembrava un'operazione fortemente a rischio buonismo.

Dopo la visione, quello che c'è da dire è che la Portman si ipoteca non solo la Coppa Volpi ma anche l'Oscar, e che Pablo Larraìn sa come colpire, come assestare i suoi colpi, facendoci stringere di fronte a una donna raffinata, fredda, elegante, quasi odiosa, ma facendocela amare.
Jackie fuma, racconta i terribili momenti dell'uccisione del marito, racconta il suo narcisismo, le sue spese folli per riarredare la casa bianca, ma non permetterà a nessuna di quelle parole di venire pubblicata. Come il giornalista chiamato ad ascoltarla, la ascoltiamo affascinati da una voce impostata e autoritaria, la scrutiamo, in quegli occhi che esprimono dolore ma soprattutto rabbia, per essere diventata una vedova il cui futuro è del tutto incerto.
E la vediamo, in quella Casa Bianca ora vuota, girare per le stanze nei suoi abiti più belli, decidere come andarsene: facendo del marito, un semplice uomo, che pochi traguardi ha raggiunto, una leggenda.
Ricordare che c'è stata una Camelot, un momento di gloria e perfezione fra quelle mura, anche se non tutto è vero.
Quattro giorni, racccontati lavorando su più piani, sull'intervista in corso, sulla preparazione dei funerali, sulla vecchia trasmissione girata per la prima volta tra le stanze private della casa presidenziale, tra confessioni e momenti di intimità. Il tutto, è ricostruito in modo perfetto, e non è un'esagerazione, e non si parla solo degli ambienti ma soprattutto di lei, Jackie: abiti, pose, voce, Natalie Portman compie un lavoro strepitoso, e si azzera sotto i panni da First Lady facendo gridare al capolavoro.
Il resto del cast non è da meno, anche se ovviamente passa in secondo piano, ma va citata la bellissima presenza di Peter Sarsgaard nel ruolo di Bobby Kennedy, Greta Gerwig in quelli della collaboratrice di Jackie, e la splendida voce di Billy Crudup in quelli del giornalista chiamato nel difficile compito di intervistarla.
Il resto, lo fa la regia, che se ne sta stretta stretta, in primi piani e in piani stretti che mozzano il fiato, in una musica che lentamente si insinua e riempie, in carrelli e in un montaggio che trasporta qua e là nel tempo, tenendoci per mano.
La visione si fa immersiva, prende e non molla più, intensa.
E così, ogni dubbio è spazzato via. Sì, c'era bisogno di un film così, perchè se la storia la si conosce, basta saperla raccontare in modo unico, perfetto, per renderla nuova.

4 commenti:

  1. Regista che non digerisco molto, ma film da cui mi aspettavo grandissime cose.
    E felice che non si smentisca. Oltretutto, dopo Black Swan, temevo un po' per le prolungate assenze (o, peggio, i cinecomic) della Portman. Ho visto giusto una clip e il lavoro che c'è dietro è impressionante, sì.
    Lo aspetto, ma non arriverà mai abbastanza presto. Soprattutto perché, se a giusta ragione se lo portano agli Oscar, qui arriverà a febbraio inoltrato.

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    1. Anch'io ho le mie difficoltà con Larraìn, ma fuori dal Cile e dallo sporco, ne ho capito la grandezza.
      Va da sé che va visto solo in lingua originale, la voce della Portman è ipnotica.

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  2. Non sono un fan del regista, però ho trovato il crescendo finale della pellicola davvero notevole.

    E Natalie Portman sì, è davvero eccezionale qui. E non solo qui.
    Per l'Oscar non credo però sarà il suo anno...

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    1. Nemmeno io sono una sua fan, per fortuna uscito dal Cile, Pablo lascia indietro lo sporco e il viscido che lo contraddistingue e regala un film equilibratissimo.

      Dubito anch'io che la Portman possa battere la Stone, ma detto fra noi, non mi lamento ;)

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