9 settembre 2016

Venezia 73 - À Jamais


Io e Don DeLillo non ce la possiamo fare.
Che sia su carta (Underworld, Rumore bianco) o al cinema (Cosmopolis) non andiamo d'accordo.
Troppo disturbante, troppo anaffettivo, troppo serioso e chiuso nel suo mondo.
Poteva ansare diversamente in una produzione francese, pensavo, e invece non é.

Anche À Jamais pecca di tutti i difetti dei precedenti, respingendo lo spettatore, non esplorando i personaggi protagonisti, rimanendo freddo e asettico.
La storia é quella di una passione che esplode fra due sconosciuti, due artisti: un regista famoso, un'attrice-performer.
Si isolano nella villa di lui, passano assieme giorni tanto vuoti quanto passionali, si sposano. Ma incombe qualcosa, la tragedia, che ha il suono misterioso di quel qualcosa che risuona tra i muri, nella soffitta, il suono di un telefono che continua a squillare, richiamo di un'amante.
Lui, morirà, incidente o suicidio, lei rimarrà sola, in quella villa, ad elaborare il lutto con quel rumore che si fa presenza e fantasma. Partono scene assurde, monologhi, ripetizioni. Lui é lei, lei é lui, tutto é uno spettacolo. Mah.
Non c'è profondità, non c'è emozione, non ci sono interpretazioni (per quanto si impegni Mathieu Amalric) che facciano sentire il dolore.
Resta una casa splendida in cui si vorrebbe andare a vivere, e la nebbia.
DeLillo, à jamais.

2 commenti:

  1. Di Don DeLillo ho letto solo Cosmopolis e mi è bastato... :)

    La trasposizione di Cronenberg però mi aveva convinto di più del romanzo, ma non so se ciò sia sufficiente per farmi recuperare un suo altro adattamento.

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    1. Non questo, davvero mal fatto e pesante: in sala non è partito un applauso uno, insomma, una visione tristemente inutile.

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