11 settembre 2015

Venezia 72 - Taj Mahal


Alba Rohrwacher è ovunque.
Perfino al Taj Mahal.
No, non il Taj Mahal-Taj Mahal, il Taj Mahal Hotel, di Mumbai.
Non soddisfatta dall'essere stata presente in un film in concorso, in un film delle Giornate degli Autori e nel cortometraggio della sorella, si è fatta vedere -brevemente- pure in questa produzione francese.
La vera protagonista è però Stacy Martin, lanciata dal Nymphomaniac di Lars Von Trier, già incontrata pure lei durante il Festival in The Childhood of a leader, qui si ritrova a reggere quasi da sola l'intero film, ambientato per l'appunto nell'hotel che nel novembre del 2008 venne tenuto in scacco e distrutto da un attacco terroristico.
La Martin vi si trasferisce brevemente con la famiglia, in attesa che l'azienda del padre gli dia una casa dove soggiornare per i due anni del contratto di lui, e della scuola di fotografia di lei.

Belli e comodi, gli hotel hanno sempre quell'alone di noia, di non saper bene che fare, e infatti  Louise non sentendosi sicura da sola nelle strade della città, non sentendosi in sintonia con l'amore riesploso tra i genitori, se ne sta annoiata in albergo anche la sera, mentre la coppia esce.
Rumori, esplosioni, spari e grida: l'incubo ha inizio, un incubo che durerà tutta la notte e la vedrà sempre più in pericolo: non li vediamo questi terroristi, li sentiamo sparare ed uccidere, li sentiamo provare ad entrare nella sua stanza, mentre il panico prende il sopravvento e l'unico contatto con il mondo esterno è il telefono cellulare con cui i genitori cercano di tranquillizzarla e aiutarla. Tutto precipita però in poco tempo, con le fiamme che divampano e l'impossibilità ad uscire.
Chiusa nel bagno, nascosta sotto il letto o alla ricerca di refrigerio e aria un po' più pura sul balcone, la giovane Stacy riesce solo in parte a convincere e coinvolgere davvero, troppo giovane o troppo bella le si chiede troppo e l'espediente salva vita delle telefonate oltre ad aver fatto il suo tempo, aiuta poco la strttura della sceneggiatura.
Il film invece è costruito chiaramente per provocare ansia e paura, in un crescendo che ha il suo culmine proprio nella comparsa della Rohrwacher. No, non PER la sua comparsa.
Il finale invece può lasciare un po' delusi, dilungato e allungato, con tanti piccoli momenti che si pensa possano essere gli ultimi, ci si ritrova invece con dell'ancora da vedere che trova giustificazione in un cercare di capire davvero il prima, il durante e il dopo di quanto successo, di quanto sentito o si può sentire.
Un esordio promettente, comunque, quello di Nicolas Saada alla regia, una prova non del tutto convincente ma comunque apprezzabile quella di Stacy Martin.

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