6 novembre 2017

Il Lunedì Leggo: L'Anno della Morte di Ricardo Reis - di José Saramago

Ci sono libri che prendono subito, e subito si divorano.
Altri che hanno bisogno del loro tempo.
O magari solo di più tempo da dedicargli, che non basta quella mezzora prima di andare a dormire, dove gli occhi si chiudono dalla stanchezza una riga si e una no, per far entrare nel libro.
Serve il mood giusto, il giusto riposo, il giusto tempo. Appunto.
Ce n'è voluto più del necessario per L'Anno della Morte di Ricardo Reis, rimasto sul comodino per gli ultimi due mesi, letto a fatica quando il tempo lo permetteva, per poi fare breccia in una di quelle domeniche mattine in solitaria dove leggere è un piacere vero.
La colpa, come visto, era in parte del periodo non facile e non leggero, ma la colpa è anche di un autore inizialmente ostico, famoso e premiato per il suo stile, per le sue contaminazioni di genere.
La storia, quella no, quella è quasi riassumibile in un'unica frase che fa poi da titolo al romanzo: l'anno della morte di Ricardo Reis.



Ricardo Reis, medico e poeta, o forse sarebbe meglio dire poeta e medico, che rientra a Lisbona dopo aver passato gli ultimi 16 anni in Brasile. Rientra, colpito dalla morte dello scrittore Fernando Pessoa, e bene non sa cosa fare.
Ci metterà un bel po' a riambientarsi, vivendo per tre mesi in un albergo, finendo per avere una liason romantica con la cameriera di questo albergo, ma innamorandosi di una giovane signorina dal braccio sinistro paralizzato. Nel mentre, il fantasma di Pessoa stesso gli fa visita, i due conversano, parlano, si stuzzicano. Sempre nel mentre, il nazismo e Hitler avanzano in Germania, la guerra civile scoppia nella vicina Spagna, il mondo si appresta a cambiare.
Le giornate di quest'ultimo anno passano però sempre uguali, tra colazioni a letto, pranzi in albergo, giornali letti in ogni loro articolo, le passeggiate per la città, qualche verso da scrivere, le visite notturne di una donna che si concede ma che vorrebbe di più, pur sapendo di non poterlo avere.
Pochi i fuori pista di un personaggio che per questo suo triste osservare e aspettare, desta i sospetti della polizia: un interrogatorio, appunto, che smuove le acque, un trasferimento in una casa vera e propria, un viaggio improvvisato verso Fatima, alla ricerca non di un miracolo, ma dell'amore.

A fare la differenza e a rendere giusto un po' più ostica la lettura di un romanzo che fa emergere tutta quella malinconia propria del Portogallo e di anni che si preparano alla guerra, lo stile del premio Nobel Saramago, quello stile che sembra un flusso di coscienza, un fiume in piena dove non sono previsti punti di domanda né dialoghi classici, dove la virgola la fa da padrone e i punti arrivano raramente.
Messa da parte l'iniziale fretta, respirando davvero, ed entrando in uno stile così unico, si finisce per apprezzare e amare frasi taglienti, l'ironia che fa capolino, la poesia che prende vita.
C'è del poetico anche nella nascita del romanzo stesso, con Ricardo Reis che altro non è che uno dei tanti eteronimi usati proprio da Pessoa, una personalità a se stante, creata dallo scrittore, e lasciato al suo destino fittizio proprio in Brasile.
Saramago brillantemente lo riprende, lo fa vivere un anno di più, lo fa tornare in patria, per cercare l'amore, per testimoniare la disfatta di un'Europa che ruggisce, per conversare con quello che dovrebbe essere se stesso, e che non è già più.
Non sarà facile aprire un altro Saramago nel mio futuro, vista la pazienza e l'impegno che richiede, ma questo Ricardo Reis, con i suoi modi di fare all'antica, con la sua modernità improvvisa e con la sua lentezza depressa, sarà difficile scrollarselo di dosso.

2 commenti:

  1. Quando si parla di mood giusto, ho già capito come andrà a finire...
    sarà una noia pazzesca. :D

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    1. Noia no, quando prende, prende. Di certo non è una lettura facile, anzi, visto il tempo rimasto sul comodino :)

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